Bravetta, chiuderà il residence-lager

Bravetta, chiuderà il residence-lager

Massimo Malpica

Le fiamme appiccate fuori dalla porta del malconcio monolocale, poi le urla, il fumo, il rumore dei vetri rotti e le grida di dolore dopo il volo fuori dalla finestra, fortunatamente del primo piano, l’unica strada rimasta per non fare la fine dei topi. Così l’altra notte due senegalesi di 24 e 35 anni, ospiti del «Residence Roma» di via di Bravetta, sono scampati alla morte, finendo comunque in ospedale. Il primo con 30 giorni di prognosi per la frattura del polso, una ferita sul mento e un trauma addominale, il secondo col bacino fratturato e un sospetto pneumotorace, che ha consigliato i medici a riservarsi la prognosi.
L’ultimo episodio dal regno del degrado, il «residence Roma» che ospita, tra ratti, scarafaggi e sporcizia, ancora 124 famiglie in «assistenza alloggiativa» a carico del Comune, è forse la goccia che fa traboccare il vaso. Il punto che sancisce il definitivo fallimento di una strada per affrontare l’emergenza casa - quella di appoggiarsi a strutture residenziali dilapidando cospicue somme e «garantendo» alloggi invivibili agli assegnatari - che già aveva mostrato tutti i suoi limiti ai tempi di Rutelli. Questo inferno di rifiuti e abbandono voleva chiuderlo già l’allora prima cittadino, prima di Walter Veltroni. Ma all’attuale sindaco ci sono voluti quattro anni e mezzo di tempo, e un bel po’ di miliardi usciti dalle casse comunali, per riuscire, almeno sulla carta, a voltar pagina. L’annuncio è arrivato solo ieri, dopo che i due immigrati avevano rischiato di perdere la vita in quello che potrebbe essere un attentato diretto contro di loro (c’era una tanica di benzina fuori dall’appartamento) o forse solo l’ennesima prova delle condizioni vergognose in cui gli «ospiti» del residence-lager di via di Bravetta sono costretti a vivere: ad accendere i fuochi nei corridoi spesso sono gli inquilini, esasperati, per cacciare i topi. Stavolta c’è mancato poco che finisse in tragedia. Ma per il Campidoglio la decisione non è dettata dal contingente. Il residence Roma chiude perché, ufficialmente, così è stato deciso lo scorso venerdì, quando la giunta straordinaria ha approvato una memoria presentata dall’assessore alle Politiche abitative, Claudio Minelli: sgombero dal «Roma», entro 45 giorni, delle cento e passa famiglie che lo abitano, e che verranno sistemate altrove, probabilmente dopo aver scalato la graduatoria degli assegnatari di alloggi. E presidio «ferreo» della struttura per impedire che, una volta liberata dai vecchi inquilini, venga immediatamente rioccupata. Un triste classico dell’emergenza abitativa a Roma: proprio venerdì, mentre in Campidoglio si decideva il futuro del residence, una signora di 70 anni che aveva finalmente ottenuto una casa nell’VIII municipio l’ha trovata occupata abusivamente, alla faccia del futuro e dei diritti di chi aspetta il proprio turno.
Andrà meglio per la riqualificazione del «Roma», dove ci sono anche ospiti paganti che in cambio dell’affitto vivono nel degrado? Visto l’affanno dell’amministrazione nel governare l’emergenza abitativa c’è chi è scettico, come il capogruppo alla Provincia di An, Piergiorgio Benvenuti, che plaude alla chiusura di una «esperienza fallimentare delle giunte di sinistra» ma osserva: «Non credo che il Roma rimarrà libero, considerando che centri sociali e Action sono sempre pronti a occupare».
Se lo sgombero del «Roma» non risolverà l’alta tensione sulla casa nella Capitale, almeno nel XVI municipio la notizia viene accolta con soddisfazione.

Per il presidente del parlamentino, Fabio Bellini, l’incendio nel quale sono rimasti feriti i due giovani senegalesi «è l’ennesimo episodio che dimostra la necessità di chiudere definitivamente la struttura, fonte di degrado socio-ambientale per un intero quartiere».

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