Tragedia in alta quota. Ieri una valanga ha travolto un gruppo di undici persone, uccidendone quattro. È accaduto in provincia di Brescia, nella zona del passo del Maniva, il valico delle Alpi centrali che separa la Val Trompia dalla Valle del Caffaro.
La comitiva stava compiendo una gita in motoslitta, approfittando del cielo terso che ieri sovrastava le montagne bresciane. La valanga, forse provocata dal rumore prodotto dai motori dei mezzi, si è staccata quando gli undici si trovavano a 2.100 metri. Le dieci motoslitte sono state immediatamente seppellite dalla massa nevosa.
Sul posto sono subito intervenuti gli uomini del soccorso alpino, successivamente supportati da carabinieri e guardia di finanza.
Nonostante la tempestività dell’intervento dei mezzi di soccorso, per tre degli escursionisti è stato subito chiaro come non ci fosse niente da fare. Un quarto giovane è stato trasportato d’urgenza all’ospedale di Brescia: ma le sue condizioni erano disperate e i medici non hanno potuto fare nulla per salvarlo.
Tre delle vittime sono giovani di Bagolino, un comune dell’alta Valsabbia, su cui si estende una porzione del monte Maniva. Si tratta di Andrea Brizzolari, Paolo Zanetti e Fausto Plodari. La quarta vittima è Fausto Giusteri di Lumezzane (Brescia). Sul posto della sciagura si è recato anche il sindaco di Bagolino, Marco Scalvini, in lacrime. «La neve ieri era bagnata e questo può averla appesantita provocando la valanga. Però chi va in motoslitta in quella zona è gente esperta, bisogna capire che percorsi sono stati fatti e se il rumore degli apparecchi può avere fatto staccare un blocco». È questo il parere di Roberto Zubani, gestore dello chalet degli impianti Maniva Ski che si trova a 1.600-1.700 metri mentre dove «è accaduto l’incidente si dovrebbe essere a circa 2.100 metri». «Oggi è stata una giornata bellissima, tutto era in ordine e nulla poteva far presagire questa disgrazia - ha spiegato, sotto choc, Zubani -. Tutto era tranquillo e la valanga è stata del tutto inaspettata». In effetti nei giorni scorsi il rischio valanghe nella zona era stato definito alto, di livello quattro.
Per salvare la vita a un escursionista travolto da una valanga sono cruciali i primi 15 minuti. È infatti in questo brevissimo lasso di tempo che la ricerca può dare esiti positivi. Gli esperti di alpinismo hanno, infatti, rilevato che se il sepolto è ritrovato entro un quarto d’ora, la probabilità di essere ritrovato vivo supera il 90%, dopo questa probabilità si riduce in modo drastico. La persona (di solito si trova a non oltre uno o due metri sotto la neve) rischia di morire per asfissia lenta, associata a ipotermia e arresto cardiaco. Prima accortezza da tenere se si rimane coinvolti da una valanga è tenere la bocca chiusa e respirare con il naso. Su come reagire in questi casi i suggerimenti sono contrastanti, tra l’assumere una posizione rannicchiata, oppure cercare di nuotare e creare così una camera d’aria (la sopravvivenza in questo caso può durare fino a 45 minuti). Fondamentale il ruolo dell’Arva (dispositivo radio di ricerca in valanga) - di cui l’escursionista dovrebbe essere sempre dotato insieme alla pala, alla sonda e al telo termico - che può ridurre i tempi del ritrovamento.
Contro le valanghe è, però, indispensabile adottare misure preventive: non avventurarsi mai da soli; se il manto nevoso è instabile non avventurarsi su pendii con inclinazione superiore a 30 gradi; evitare le parti più ripide dei pendii, dei canaloni, delle zone sottovento; evitare l’attraversamento di zone che confluiscono in crepacci, salti di roccia, pietraie affioranti.
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