"L’impronta 33 indica una direzione. Vi svelo cosa c’è dietro"

Il confronto tra l’impronta 33 e la mano dell’indagato Andrea Sempio non restituisce tutte le minuzie necessarie all’identificazione. La criminalista: “La scienza non è un oracolo”

"L’impronta 33 indica una direzione. Vi svelo cosa c’è dietro"

Strumenti più veloci, esami ripetibili sui reperti, ma non è detto che ci saranno novità eclatanti per il delitto di Garlasco. Forse è un’esagerazione della stampa che in questa nuova indagine, iniziata a marzo 2025 con l’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Sempio (già archiviato in altre due occasioni), sia improntata sulle novità tecnico scientifiche. L'incidente probatorio del 17 giugno 2025 ha segnato in ogni caso un punto fermo sulla situazione dei reperti-impronte in tal senso: le tracce non sarebbero state repertate su paradesivi ma su fogli di acetato e non sarebbe presente sangue, soprattutto sulle impronte 10 e 33.

Restano dei punti fermi al momento: che Chiara Poggi sia stata uccisa il 13 agosto 2007 e il movente non sia ancora stato trovato, e che per l’omicidio è stato condannato nel 2015 il fidanzato Alberto Stasi. Ma l’indagine è stata circondata da una ridda di speculazioni, qualche volta quasi al limite della teoria del complotto, anche perché a volte i concetti scientifici non sono semplici e immediati da capire. “La velocità non si accorda con questo tipo di spiegazioni e si rischia di banalizzare, anziché semplificare”, spiega a IlGiornale Sara Capoccitti, informatica, criminalista, analista forense e fondatrice del progetto Forensically.

Dottoressa Capoccitti, cosa si può dire della rappresentazione grafica delle impronte repertate nella villetta di Garlasco?

“Possiamo dire che sono stati utilizzati strumenti che, per quanto non siano uguali o identici a quelli attuali, erano già perfettamente adeguati. Quindi quella stessa documentazione del 2007 può essere reinterpretata con dei software più moderni, ma non si tratta di una rivoluzione: il dato che c’era, c’è. E se, per esempio nell’impronta 33 fossero state già trovate 16 minuzie, sarebbe accaduto nel 2007”.

Parla delle 16 minuzie necessarie per l’attribuzione di un’impronta?

“Esattamente. Se ci fossero state 16 minuzie avremmo potuto parlare di identificazione piena: si tratta di limiti per stabilire un valore processuale spendibile. Con 15 minuzie, quelle riconosciute all’impronta 33, abbiamo una direzione ma non un’identificazione piena. Lo stabilisce la Cassazione. Anche se ci sono state sentenze nella quali sono 'bastate', un numero minore di minuzie, ma supportate da altri elementi. Ciò che è importante è: il dato non cambia dal 2007 al 2025”.

O il dato c’è oppure non c’è in altre parole.

“La scienza non è un oracolo. Pensare che la rivoluzione scientifica in questo caso sia stata fatta grazie alla tecnologia non è del tutto corretto. Magari la tecnologia aiuta nella velocità di comparazione”.

La legale di Stasi, Giada Bocellari, ha parlato di “impronta carica di materiale biologico” e sostiene che si possa fare una valutazione da una foto. Si può fare davvero?

“È scientificamente impossibile. Devono essere usati test specifici di laboratorio, genetici e biologici. Una fotografia può mostrare una colorazione che può sembrare sangue ma non lo è necessariamente. Posso lavorare sulla morfologia di una macchia, ma per stabilire se quella sostanza fotografata è sangue ho bisogno della biologia. E il test per il sangue fu fatto a suo tempo con risultato negativo: non fu possibile estrarre alcun Dna”.

C’è dell’altro?

“Se per ‘impronta carica di materiale biologico’ intendiamo qualcosa che ha reagito con il tracciante chimico, cioè la ninidrina, è giusto (la ninidrina reagisce a una componente amminoacidica, ndr). Ma se intendiamo che questo qualcosa ci permette di estrarre un Dna, allora no. In generale, tornando alla fotografia: può essere un ausilio importante, ma non ci permette di stabilire la natura del materiale fotografato. Abbiamo una raffigurazione delle impronte, in altre parole, tra cui la 33 e la 10, quelle di cui si sta discutendo maggiormente”.

E da quelle impronte si può stabilire una dinamica?

“Come ho detto prima, la scienza non è un oracolo. Le impronte in una casa devono essere contestualizzate, ma bisogna giungere a un risultato certo, integrato con altri dati scientifici e da quelli derivanti da investigazione tradizionale. Altrimenti non è detto che quell’impronta abbia un significato. L’analisi dell’impronta 33 è ripetibile, perché la fotografia può essere analizzata più volte, a differenza di altri reperti”.

Nella villetta di Garlasco, gli inquirenti sono entrati con un nuovo laserscanner 3D. Era già accaduto nel 2007. Cosa è cambiato?

“Venti anni fa la tecnica di ricostruzione del laserscanner era più lenta e più articolata: oggi lo strumento è più piccolo, basta un treppiede e un quarto d’ora per avere un modello 3D della scena del crimine. Si possono abbassare gli errori di misurazione rispetto al 2007, ma la tecnica resta quella, sebbene con un minore margine di incertezza. Anche questa non è una rivoluzione”.

Come si fanno a spiegare questi concetti al cosiddetto uomo della strada?

“È una domanda interessante, che implica da parte della stampa un rallentamento del passaggio dell’informazione. Nel senso che la velocità non si accorda con questo tipo di spiegazioni e si rischia di banalizzare, anziché semplificare.

Si deve trovare una sincronia tra tecnico, giornalista e mezzo comunicativo, che permetta di far capire un concetto che in sé è a volte molto complesso. La banalizzazione rischia di esasperare la pressione mediatica su un caso”.

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