Politica

Brescia, trovati i documenti che i killer hanno cercato invano

L’uomo torturato prima dell’omicidio. Punito perché voleva mettersi in proprio

Gabriele Villa

nostro inviato a Brescia

Torturato. Perché parlasse, perché dicesse tutto ciò che i tre killer, venuti da lontano, che hanno massacrato lui e i suoi familiari, volevano sapere. Dai referti dell’autopsia, completata ieri a Brescia dopo lunghe ore di analisi, emergono altri raccapriccianti particolari sulla fine di Angelo Cottarelli, l’«imprenditore» bresciano vittima di una feroce esecuzione, lunedì mattina, nella sua villetta di Urago Mella assieme alla compagna polacca, Marzenne, 41 anni, e al figlio Luca di 17.
Dopo i rilevi compiuti da nove tecnici della Ert, il raggruppamento degli esperti di ricerca tracce della polizia, affiancati dagli uomini Unità di analisi del crimine violento, giunti da Roma, ciò che è accaduto lunedì nel seminterrato di quella casa è oramai sufficientemente chiaro agli investigatori. Che ieri, con il rapporto autoptico alla mano, hanno definito «particolarmente cruenta» la dinamica del triplice omicidio. I killer hanno legato e fatto sedere la compagna di Cottarelli e il figlio sul divano della tavernetta, poi sotto gli occhi dell’uomo, hanno loro tagliato la gola finendoli entrambi con due colpi alla nuca, sparati da una calibro 22, a distanza ravvicinata. Orribile anche la sequenza stabilita per eseguire la condanna a morte di Angelo Cottarelli. I suoi carnefici, evidentemente in cerca di assegni o documenti importanti, lo hanno dapprima costretto ad aprire la cassaforte. Poi, delusi per non aver trovato ciò che cercavano, hanno buttato all’aria un armadio, rovesciando fogli e carteggi sul pavimento. Delusi per la seconda volta, hanno cominciato a seviziarlo infliggendogli decine di tagli con un coltello, in tutto il corpo, per costringerlo a parlare. Ma, a questo punto, la straordinaria resistenza di Cottarelli e il timore di perdere troppo tempo nella casa, col rischio di venire scoperti ha spinto i killer a desistere dalla ricerca e ad accelerare i tempi. Così hanno deciso di tagliare la gola anche al capofamiglia e di lasciarlo in un lago di sangue sparandogli quello che doveva essere, nelle loro intenzioni, il colpo di grazia alla nuca. Un colpo che, tuttavia, non è stato subito fatale per l’uomo, rimasto agonizzante fino all’arrivo dei soccorritori del 118 cui ha o avrebbe rivelato, a parole o a gesti, particolari importanti sull’aggressione. Insomma, una conclusione precipitosa per tre professionisti del crimine così spietati che, pur agendo con i guanti di lattice, avrebbero lasciato interessanti impronte con le loro scarpe e sarebbero stati visti fuggire, questo particolare è emerso ieri da una nuova testimonianza, a bordo di una Punto di colore azzurro metallizzato.
Sulla scorta di questa dinamica è un dato di fatto che ora nelle mani degli investigatori bresciani, coordinati dai pm Savio e Rossi, ci sono quei documenti che gli assassini di Cottarelli e della sua famiglia cercavano. Documenti che erano nascosti in due cassetti che non sono stati individuati né tantomeno forzati dagli aggressori. Carteggi preziosi per arrivare alla saldatura dei rapporti che il cinquantasettenne Angelo Cottarelli, fisico atletico e manie di grandezza, aveva cominciato a tessere dopo essere entrato con i suoi night in quel traffico di squillo provenienti da Paesi dell’Est, che gli aveva fruttato, nel novembre del 2004, venti giorni di carcere, seguiti da un proscioglimento per mancanza di indizi. Un incidente di percorso che non gli aveva certo impedito, una volta tornato in libertà, di intensificare i suoi rapporti con alcuni «personaggi importanti» come quel Giuseppe Salvatore, legato con la cosca della ’ndrangheta calabrese Piromalli-Molè. Fino a fargli maturare l’idea, è questa la convinzione degli inquirenti, di mettersi in proprio per tirare le fila di un giro redditizio ma molto, molto più pericoloso, di quel piccolo cabotaggio delinquenziale che fino a quel momento Angelo Cottarelli aveva sfiorato con certi suoi comportamenti.
È stato questo il passo falso commesso da quell’ex sbruffone di periferia. Una mossa incauta che ha determinato una reazione così spietata per non venir interpretata come una vendetta di un boss di gran peso o il segnale trasversale lanciato da un boss ad un altro boss.

Per delimitare con il sangue i confini di un territorio troppo vasto e troppo ricco come il Nord-Est, per essere lasciato nelle mani di burattinai locali.

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