Briguglio: «Un grande leader non pone la fiducia sui nomi»

«Non ci sarà una resa dei conti, ma il confronto deve essere aperto. A destra non c’è mai stato il “centralismo democratico”»

Francesco Kamel

da Roma

Si avvicina l’Assemblea nazionale di An in programma il 2 e 3 luglio a Roma. Carmelo Briguglio, capo della segreteria politica del partito, vuole un «confronto aperto» sull’identità e i valori mentre i nomi e gli assetti del partito sono in «secondo piano».
Onorevole Briguglio, sarà una resa dei conti?
«No. Sarà un appuntamento importante in cui come classe dirigente siamo chiamati a dare risposte a milioni di elettori e a una grande comunità politica che ha delle attese. Il punto centrale è l'identità e il contributo che possiamo dare al centrodestra. Il documento di Alfredo Mantovano non ha contenuti nominalistici ma orienta la discussione su un piano alto, a livello serio. Il problema organizzativo viene dopo la definizione della linea politica».
Come finirà? È ottimista?
«Non è certamente un incontro di routine. Dopo il referendum abbiamo rischiato lo "scisma" di una componente importante di An: quella cattolica. Ma io sono ottimista. Sia che si raggiunga un'unità politica di tutta la classe dirigente sia che si crei una minoranza interna».
Può nascere un "correntone" in An?
«È possibile che sorgano delle aggregazioni su questioni politiche».
È possibile che Gianfranco Fini possa porre la fiducia sul nome di un coordinatore da lui prescelto?
«In un grande partito, un grande leader chiede la fiducia sulla linea politica e non su un nome».
All'assemblea è meglio il voto segreto o palese?
«Con il voto segreto c'è più libertà di esprimere le proprie posizioni ma credo che ognuno debba prendersi le proprie responsabilità e sia preferibile un confronto a viso aperto».
Ritiene utile affiancare un coordinatore al presidente del partito?
«In passato anche Fini ha detto di non potersi occupare a tempo pieno del partito. Una soluzione va trovata ma si tratta di due problemi distinti: prima viene l'identità e la linea politica, poi l'organizzazione».
An pagherà in termini elettorali le spaccature di questi giorni?
«Non credo. Io credo sia finita la leggenda dei colonnelli. Il dibattito attuale è sui contenuti e non sulla gestione del potere. Io ho sempre creduto nella positività delle correnti perché basate su reali culture politiche. Un dibattito alla luce del sole è dimostrazione di democrazia. E poi a destra non c'è mai stato il "centralismo democratico"».
Francesco Storace dice che Gianni Alemanno sbaglia a sfidare Fini. Come mai questa divisione all'interno della Destra sociale?
«Non mi stupisco perché questa diversità è sempre esistita: è una complementarietà. Alemanno ha il compito politico e storico di sottolineare l'identità mentre Storace spinge perché questo richiamo non porti a un bipolarismo interno ad An».


Cosa ne pensa di Publio Fiori e di quanti sembrano stare già con un piede fuori dal partito?
«Credo che la loro casa sia An. Ed infatti hanno ricevuto in queste settimane molta solidarietà. Il dibattito in assemblea nazionale è positivo perché non allontana ma trattiene personalità che possono dire le proprie ragioni».

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