Il «radical chic» è impossibile da debellare. Assume sempre nuove forme ma rimane identico nella sostanza. È un archetipo dalle caratteristiche precise (predicare bene razzolando male, alta dose di ipocrisia benpensante, facile infatuazione per i peggiori movimenti estremisti, tendenza suicida a innamorarsi dei propri futuri carnefici...) e che si perpetua da decenni, forse ben prima che Tom Wolfe ne teorizzasse lesistenza nel suo Radical Chic, nel 1970. Ma cosa cè sotto letichetta «radical chic»? Cè il mondo di quegli intellettuali a cui piace da morire sostenere pubblicamente teorie politiche radicali ed esprimere «vicinanza» a qualsiasi gruppo rivoluzionario e/o terroristico. È la Buona Coscienza Progressista.
Lultimo esempio di Ur-radical chic è il sentito e sincero sdegno contro gli «squadristi» berlusconiani e laltrettanto sincera e sentita solidarietà al «terrorismo» mediatico di Repubblica e Annozero manifestati laltroieri, con un appello, nel salotto del Fatto Quotidiano dalla nostra più bella intellighenzia: i soliti Camilleri, Tabucchi, Bocca, Fo, Sartori, Lerner... Tutti intellettuali «scomodi» - ben sistemati in poltrone comodissime - pronti a gridare al regime, a inneggiare alla resistenza, a trovare nei provvedimenti del governo Berlusconi «forti analogie con lincendio del Reichstag e le leggi speciali»...
Nulla è cambiato da quando Tom Wolfe raccontò come, negli anni 60 e 70, tra i ricchi intellettuali newyorchesi scoppiò la moda di ospitare nei propri salotti ogni possibile rivoluzionario radicale, a partire dalle Pantere Nere, violento movimento afroamericano con tendenze, paradossalmente, razziste...
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