Brucia campo rom, muoiono sposi adolescenti

da Caserta

Le fiamme sono arrivate di notte, nel sonno. Dormivano abbracciati l’uno con l’altro, stretti come possono esserlo solo due freschi sposi. Ma la storia d’amore di questi due giovani rom è durata solo un mese e mezzo. Due notti fa, infatti, intorno alle 4, le fiamme hanno divorato il campo dove vivevano, ad Orta di Atella (Caserta). Loro due sono morti, carbonizzati, non hanno avuto la possibilità di abbandonare la loro baracca. Cristina Mihalache e Nicolae Ihnunt Laurentiu, avevano solo 15 e 14 anni. Poco più che bambini. Erano lì, nel campo di Cerbone, per trascorrere le vacanze di Natale con i familiari. Hanno trovato una morte atroce.
Una candela rimasta accesa, un mozzicone di sigaretta incautamente gettato a terra, sono queste due delle ipotesi che fanno i vigili del fuoco di Caserta. Gli esperti, almeno per il momento, escludono che il rogo di Orta di Atella, possa essere di origini dolose oppure provocato da una stufa elettrica.
Il rogo è divampato alle quattro della notte: tre baracche colpite dalle fiamme, tra le circa venti che sono ospitate nello squallido e sporco campo rom di Cerbone. È stato un fuggi fuggi generale. Una corsa verso la salvezza, con le donne che avevano in braccio i loro bambini. Ma tra quelle cinquanta persone in fuga, mancavano loro due, Cristina e Nico, rimasti intrappolati nella loro baracca. Ad accorgersi dell’incendio è stato un parente dei due sposini. Gli abitanti del campo, hanno tentato di spegnere le fiamme con l’acqua conservata in alcuni bidoni, che i nomadi utilizzano per lavarsi e per bere. Le due vittime vivevano nel campo nomadi di San Salvatore, a Casoria (Napoli). Poi, dopo l’Epifania, si sarebbero trasferiti per alcuni giorni in Romania, loro terra di origine. Il campo rom di Orta di Atella, sorgeva sotto l’asse viario che collega l’area nolana con Villa Literno, nel Casertano. La zona dove si trovava l’insediamento dei rom versa in uno stato di abbandono ed è tra le più degradate della Campania. Tanto per citare qualche esempio, nelle vicinanze si trovano delle minidiscariche di spazzatura a cielo aperto.
Le baracche sono costruite con materiale di risulta e sono coperte da tappeti di bitume per cercare di limitare le infiltrazioni d’acqua. Il campo è completamente privo di servizi: non solo manca l’acqua ma, anche l’energia elettrica per la illuminazione. Per la illuminazione delle baracche, i rom utilizzano le candele e per darsi il calore, le stufe a gas. Il campo di Cerbone, dove sono morti Cristina e Nico, non è l’unico ad Orta di Atella. A pochi chilometri di distanza, si trova un’altra baraccopoli, dove vivono oltre centocinquanta persone, nelle medesime, precarie condizioni igienico-sanitarie. Dispiaciuto e infuriato per questa tragedia è il sindaco di Orta di Atella, Salvatore del Prete. «Tornerò a scrivere alla Regione, alle Province di Caserta e Napoli e alle rispettive prefetture, per chiedere la convocazione di un tavolo di confronto. Sono addolorato per quanto è accaduto ma non siamo in grado di offrire, nel nostro Comune, ospitalità a circa duecento nomadi».
La tragedia ricorda un’altra storia. Il dicembre scorso un rogo distrugge un prefabbricato nel quartiere Casilino, a Roma.

Tra le fiamme muoiono due sposini, Liuba Mikic di 17 anni e Sasha Traikovic di 16. Allora la causa fu una stufa a gas difettosa. I ragazzi rimasero prigionieri delle fiamme. Sono morti da eroi, dopo aver salvato i genitori e tre cugini.

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