RomaLitigavano sempre, ma si amavano molto Giancarla Mandelli e Francesco Rosi, come capita alle coppie di lunga consuetudine coniugale, strette tra rassicurante abitudine e affetto profondo a formare, dei loro singoli corsi esistenziali, un unico fiume. E adesso che la compagna di una vita ha improvvisamente lasciato solo il regista de «Le mani sulla città» e in quel modo assurdo, proprio perché fatale e repentino, tipico delle morti per fuoco, restano i ricordi. E affiora una singolare analogia con la morte tormentosa, che colpisce i grandi ustionati (l'ottantatreenne signora Rosi è spirata ieri al Sant'Eugenio, dopo aver riportato ustioni di terzo grado su tutto il corpo) e che portò via la grande scrittrice Ingeborg Bachmann il 17 ottobre del 1973, in via Bocca di Leone, ancora a un passo dalla scalinata di Piazza di Spagna (la casa dei Rosi è in via Gregoriana, strada misteriosa e bellissima per pochi, selezionati residenti). E sempre per colpa d'una sigaretta non spenta, d'una brace che vola addosso a una vestaglia e la trasforma in una guaina di fiamme.
«Deceduta a seguito di gravi ustioni riportate accidentalmente», fu scritto sul fascicolo della poetessa di Klagenfurt e verrà scritto così anche adesso, mentre la Roma del cinema pensa a sé, a com'è diventata, più che alla tragedia di Giancarla. «Stamattina (ieri per chi legge n.d.r.) avevo intuito che fosse successo qualcosa di molto grave. Per una strana coincidenza, ho telefonato a casa, proprio mentre lì si trovava Lina Wertmueller, amica storica della coppia. «Non è il momento! Non è il momento!», m'ha detto con voce concitata Lina. Allora, qualcosa ho immaginato. Sapevo che Giancarla era malata da tempo, ma ormai a Roma, tra artisti e intellettuali non ci si frequenta più. Ci seguivano da lontano. Giancarla mi telefonava ogni volta che passava un mio film alla tivù: sempre più di rado, ultimamente», commenta con aria sconsolata Carlo Lizzani, il regista che con Rosi ha condiviso la passione civile in formato celluloide. Dal suo racconto affiora una malinconia da distanza, ormai caratteristica delle grandi città, dove ogni cosa a ogni cosa ha detto addio. «C'era stato, da ultimo, qualche tentativo di riesumare la nostra convivialità, tra artisti, con qualche cena da "Otello", lì in via della Croce. Ma non funzionava più
La Roma delle trattorie e dei bar, dove ci si riuniva per commentare i nostri lavori, è sparita per sempre. Ho saputo della morte di Giancarla dal tiggì dell'una», racconta Lizzani, che a ottant'anni si mette anche lui tra le volpi d'argento d'un Pantheon autoriale vivo, ma nella vigilanza della memoria, se non altro. «Siamo tutti dispersi, ognuno a pensare ai propri guai. Ma della moglie di Rosi conservo un ricordo di viva simpatia», aggiunge il regista romano, sempre più mesto man mano che realizza come la diaspora della sua città abbia reso uomini e cose lontani dalla solidarietà.
Con l'affetto dei veri napoletani, Rosi ha seguito sua moglie nei lunghi anni della malattia, rinunciando anche alle poche apparizioni pubbliche, alle quali, pure, avrebbe partecipato volentieri. Due anni fa, in occasione d'una retrospettiva cinematografica dedicata a Luciano Emmer, altro decano dei registi italiani, di recente scomparso, l'autore partenopeo intervenne al telefono. Nel collegamento remoto con la Sala Trevi,la sua voce suonava sgualcita, pura evocazione d'artista, ormai dedito ad altro. «Sono con voi nel cuore», disse ai pochi cinèfili, riuniti in una liturgia sempre più obsoleta: gli omaggi, la retrospettiva, il cinema d'autore
Di certo, l'autore de «I magliari», «Mani sulla città», «Cronaca d'una morte annunciata» - per citare soltanto i titoli più noti - non ha trascorso una vita facile. Dalla prima moglie, Nora Ricci, ebbe una figlia con seri problemi di salute e che morì in un incidente d'auto, mentre papà Francesco si trovava alla guida. Ne derivarono complessi di colpa e rimorsi, mai del tutto sopiti.
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