Ministro Renato Brunetta, pochi giorni fa è stata approvata definitivamente la sua legge sulla pubblica amministrazione, ora prende il largo la riforma degli scioperi del ministro Sacconi...
«I riformisti siamo noi. Quella che è iniziata a maggio è la più grande stagione di riforme conosciuta dal Paese. L’altra parte politica, il centrosinistra, non sarebbe mai stata in grado di fare lo stesso».
Per motivi culturali o per ragioni politiche?
«Perché noi siamo gli eredi del migliore centrosinistra».
Non farete mica un’altra nazionalizzazione dell’energia elettrica?
«Abbiamo fatto moltissimo. Dalle politiche economiche di Tremonti che hanno messo in sicurezza i conti pubblici, alla riforma della pubblica amministrazione che è arrivata in porto l’altro giorno, a quella della scuola, dell’università, della giustizia, della sicurezza. Fino a oggi, con la riforma degli scioperi sui trasporti approvata in Cdm e voluta da Sacconi».
Peccato ci sia la crisi economica mondiale...
«Anzi, le riforme si fanno proprio nei momenti più difficili. In quelli facili tutti sono capaci e poi non servono. Il bello è riuscire a farle proprio ora. Dirò di più, non è mai successo in nessun Paese occidentale che qualcuno abbia vinto le elezioni, si sia ritrovato in una crisi economica nera, si sia impegnato in riforme dure e poi abbia aumentato i consensi. È quello che sta avvenendo al governo Berlusconi. Nemmeno Obama ci è riuscito. A pochi giorni dal suo insediamento ha già meno consensi di prima».
Ancora in luna di miele con gli elettori?
«Una lunga luna di miele, se vuole, ma forse qualcosa di più. E come diceva lei è anche l’effetto di un’amalgama culturale. Il migliore centrosinistra con Forza Italia, il riformismo di An, con la modernizzazione voluta da Fini, e le radici territoriali della Lega».
La sua riforma è stata, di fatto, condivisa anche dal centrosinistra, che però non l’ha votata. La legge sugli scioperi sembra raccogliere critiche molto morbide. Avete fatto breccia anche nell’opposizione?
«A me pare siano in un imbarazzo mortale. Se non mi ricordassi della loro ferocia, direi che fanno quasi tenerezza. Sono nella classica situazione del “vorrei ma non posso”, perché non riescono a resistere al richiamo della foresta».
Che sarebbe?
«Ad esempio quello di Di Pietro e quello della Cgil».
Cosa ne pensa del sindacato di Guglielmo Epifani?
«Sono in stato confusionale. Stanno perdendo una rendita di posizione che avevano nei confronti della società e della politica italiana. E Epifani non ne sta azzeccando una».
Mentre pensa che il Pd condivida alcune delle vostre leggi e che, se non avesse condizionamenti, le appoggerebbe?
«Certo. Pesano anche i residui dell’egemonia gramsciana sulla cultura. Pensi solo a Sandro Bondi. L’hanno sbeffeggiato, salvo poi scoprire che Baricco dice le stesse cose. Anche quella è una battaglia giusta, fare pulizia delle casematte culturali della sinistra, che campano di rendite e clientele. Se lo diciamo io o Bondi veniamo svillaneggiati, poi, dopo qualche anno, tutti ci danno ragione».
È il momento giusto per fare le riforme?
«Certo. Sugli scioperi nei trasporti l’esigenza di regolare c’è da sempre. Era il momento di rimetterci le mani e Sacconi ha fatto bene ad approfittarne. Se non ora, quando?».
Obiezione della sinistra: siete di destra e quindi fate passi indietro sul diritto di sciopero...
«Mi sa dire una ragione seria che non porti alla seria regolazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, con particolare attenzione ai trasporti? Io sono uomo di sinistra, socialista, e ho a cuore il diritto di sciopero. Ma consegnare a pochi ricattatori la vita di migliaia di cittadini è riconoscere un diritto o permettere un ricatto?».
Scioperi nei trasporti, fannulloni negli uffici pubblici... Sono argomenti sensibili, puntate a raccogliere consensi o a cambiare veramente le cose?
«Guardi, una delle caratteristiche di questo nostro riformismo è che è finalizzato. Prende di petto il problema reale senza astratte generalizzazioni. Pensi al cinque in condotta o al maestro prevalente. E alle grandi riforme organiche della scuola pensate dalla sinistra. E poi quel lessico...».
Il sinistrese?
«Certo. Le riforme nel loro linguaggio sono sempre complessive, organiche. Salvo che poi rimangono tutte sulla carta. Il riformismo vero è selettivo, veloce e concreto e ottiene risultati più importanti con effetti a catena. Quello che ha fatto Sacconi è l’altra faccia di quello che faccio io. Così come la riforma della pubblica amministrazione cambia le cose, introduce trasparenza, mette al centro il cittadino. È la cifra di questo riformismo, pragmatico e poco ideologico, di grande concretezza e in presa diretta con la gente».
Un po’ populista?
«Ridurre le assenze per malattia del 50 per cento non è populismo. Quanti benpensanti hanno messo in dubbio le nostre decisioni e poi si sono dovuti ricredere? Abbiamo vinto noi, con buona pace dei benaltristi».
Si dice che voi puntiate a dividere i sindacati. E che in questa missione siate attivi soprattutto lei e Sacconi, voi che eravate nel Psi ai tempi della battaglia sulla scala mobile...
«Quello che conta sono i risultati, non il mito dell’unità sindacale.
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