Ogni volta è diverso: capita di finire in bocca ad un parcheggio di motorini con tanto di cartelli e paletti che sbarrano la strada. Oppure di ritrovarsi nel bel mezzo di una carreggiata perché il percorso finisce proprio lì, fra le auto che sfrecciano verso il semaforo. E poi ci sono i casi in cui lo spazio a disposizione è talmente stretto che è meglio viaggiare a lato del marciapiede. Di cosa stiamo parlando? Delle piste ciclabili in città. Tasto dolente, anzi di più per Milano, con un’amministrazione pubblica che promette di raddoppiarle entro il 2012 e che festeggia per il record di affitti e la centesima stazione del bike sharing. E dove ecologisti, mamme antismog, sportivi e appassionati hanno fatto delle due ruote il loro cavallo di battaglia.
La buona notizia è che ci sono: i percorsi per le biciclette in città li abbiamo, eccome. Peccato che siano a singhiozzo, uno «spezzatino» in mezzo alla metropoli. Peccato che siano poco segnalati e se si decide di volerli percorrere, si finisce con perdere la bussola. Perché un tragitto lungo, unito, continuato è difficile da trovare. Quello che rimane è un viaggio ad ostacoli tra buche, radici di alberi secolari che spuntano dall’asfalto, cantieri e bancarelle dei mercati che bloccano il tragitto.
La gimcana sui pedali comincia da viale Argonne verso il centro. Il percorso sembra tenuto bene, c’è la segnaletica che indica la strada da seguire e le ruote scivolano su un manto bordeaux senza grandi intralci. Le piste sono spaziose e ci si potrebbe andare anche in due o di più, uno per ogni senso di marcia. A patto di riuscire a scansare le persone che camminano nei nostri spazi. Dovrebbero essere «riservati» e invece no, chi va a piedi si volta infastidito quando sente il rumore del campanello. Uno, due semafori da attraversare e poi si imbocca viale Plebisciti. Duecento metri di rettilineo in un corridoio stretto tra due file di auto in sosta. Alcune arrivano fin sulla pista. Ma la sorpresa è alla fine in piazzale Dateo: vorremmo proseguire e invece la strada finisce in bocca alla fermata del Passante ferroviario, tra motorini parcheggiati, biciclette e paletti. Impossibile andare avanti.
Cambiamo zona e ci dirigiamo verso Porta Venezia pedalando lungo la strada in mezzo alle macchine, s’intende. Perché da corso Plebisciti fino a Melchiorre Gioia l’unica soluzione per i ciclisti è dribblare il traffico, confidando unicamente nella prontezza dei riflessi per evitare specchietti, portiere che si aprono all’improvviso, motociclisti che sfrecciano ad un centimetro dal gomito, autobus che stringono sui cordoli dei marciapiedi.
Dunque, Melchiorre Gioia. La prendiamo dai bastioni di Porta Nuova con una curva stretta sulla destra. Una discesa, il primo semaforo e la strada prosegue in mezzo ai lavori per la nuova area pedonale di Garibaldi. Scorriamo veloci fino a metà del vialone. E poi inizia il tormento, anzi lo spezzatino. La pista si interrompe una, due, tre volte. Riprende per piccoli tratti, una manciata di metri al massimo e ci si ferma di nuovo. Dall’altra parte della strada ci sono persino le bancarelle del mercato a mettersi di mezzo. Ma non dovrebbero essere piste riservate? Giriamo sulla destra e lungo la Martesana è tutta un’altra storia anche se persino qui, ci sono le auto in sosta vietata che danno fastidio. Sono passate più di due ore ed è meglio rientrare. E scivoliamo verso corso Garibaldi e l’Arena. Una volta raggiunte le strade più centrali, le piste ciclabili diventano un miraggio. Difficilissimo trovarle nelle zone più trafficate. Le prime che si incrociano sono verso Conciliazione.
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