Dopo il buio tornano a splendere le 5 stelle del Savoy

Quanti di voi hanno mai assaggiato la pesca Melba? Se non ci fosse stato il Savoy di Londra forse nessuno. Come? Perché? Il fatto avvenne nell’anno 1893. Auguste Escoffier era lo chef dell’albergo, decise di creare e di dedicare il piatto alla cantante australiana Nellie Melba. Il Savoy era anche questo, il luogo dell’incantesimo e della favola, il luogo delle idee e del lusso. Due secoli dopo torna ad accendere le luci, tre anni di lavori, di restauri, duecentocinquanta milioni di euro spesi per ricominciare l’avventura, una cifra due volte e mezzo superiore al preventivo, dopo il timore di una chiusura definitiva, l’asta di tremila arredi, servizi da tavola, tessuti, memorabilia. L’incubo è finito, Londra conserva un altro tempio antico, il Savoy è un posto alla moda ma anche qualcosa che corre più in fretta. Erano i pensieri e le parole di un secolo lontano.
Il Savoy è Londra, il Savoy è il ricordo di un’epoca che non può ripetersi, da quel sei di agosto del ottantanove, il secolo era il diciannovesimo, l’idea vene a mister Carte, affascinato da un viaggio in America.
Il Savoy diventò subito una leggenda. Nel 1905 il miliardario americano George A. Kessler offrì una serata di gala detta Gondola Party. Nell’albergo venne ricostruita una piccola Venezia, fu allestito un piccolo Canale d’acqua, profondo un metro e mezzo, i ventiquattro ospiti cenarono a bordo delle gondole, Enrico Caruso cantò alcune romanze e un elefantino trasportò una torta alta due metri. Il Savoy fu il primo edificio fornito di elettricità, di aria condizionata, di un sistema di insonorizzazione, i suoi ascensori non erano più manovrati a mano ma con l’impianto elettrico, tutte le duecentosessantotto camere erano dotate di bagno privato, con lavandini in marmo, acqua calda e fredda, le finestre si affacciavano e si affacciano sul Tamigi, una fiaba da diecimila euro a notte nella suite reale che si sviluppa per tremila metri quadrati, avete letto bene e pagato anche.
Il Savoy non è un hotel. È anche un hotel. Fu il luogo dove George Gershwin presentò Rapsodia in Blue nel 1925 e la Bbc ne trasmise la diretta radiofonica. In quei saloni suonò il pianoforte e cantò Frank Sinatra, in quelle stanze Elisabetta e Filippo, la futura regina e il futuro principe, offrirono un rinfresco nel Quarantasei e prima di loro Giorgio VI fu il primo monarca a cenare nel ristorante.
La guerra e le bombe sconvolsero Londra, lacrime, sudore e sangue ma il Savoy restò l’isola dei sogni, Winston Churchill riuniva il suo gabinetto di governo nelle stanze dell’hotel, da qui passarono De Gaulle e Lord Mountbatten e il jet set di ogni dove, Chaplin e Clark Gable, Fred Astaire e la Dietrich, Judy Garland e George Bernard Shaw, Harry Truman e Laurence Olivier, la Marilyn e John Wayne, Bogart, la Taylor e Burton e non voglio nemmeno immaginare come abbiano trascorso giorni e notti, Coco Chanel e Christian Dior, i Beatles e Jimi Hendrix, i Led Zeppelin e The Who.
Chi ha visto il film Notting Hill deve aver capito che la scena finale, quella della dichiarazione di amore tra Julia Roberts e Hugh Grant, si svolge al Savoy, per la precisione nella Lancaster Room, e al Savoy sono state girate le scene di La donna del tenente francese e Entrapment.


C’è un’altra curiosità particolare, la Savoy Court è la sola strada di tutto il regno Unito che prevede la guida a destra per le autovetture, così da consentire ai passeggeri dei taxi di scendere direttamente davanti all’entrata dell’hotel. È il Savoy, è la storia dell’Inghilterra, un Paese che ogni tanto fa tornare alla mente la battuta di un comico americano «quando a New York sono le sette del mattino a Londra è l’1 gennaio del Quarantanove».

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