Era un grande amico di Litvinenko che gli raccontò la storia del generale Trofimov secondo cui Romano Prodi era sempre stato considerato in Russia «il nostro uomo» e difende a spada tratta Mario Scaramella dicendosi pronto a testimoniare insieme all'eurodeputato britannico Gerald Batten. Inoltre definisce l'intervista che gli fece La Repubblica come una sconcertante e abituale manipolazione costruita allo scopo di far apparire attraverso parole che lui non ha mai pronunciato il consulente parlamentare un pazzo e un miserabile e la Commissione Mitrokhin un ricettacolo di losche trame ordite da malati di mente. Racconta di aver rabbiosamente smentito l'intervista, ma di non aver mai visto pubblicata la sua lettera.
Vladimir Bukovsky - diversamente da Oleg Gordievsky, lo stesso Litvinenko ed altri esuli russi - non può tuttavia essere liquidato come d'abitudine dalle sinistre come una sudicia spia implicata in torbidi disegni. Vladimir Bukovsky è uno dei più grandi intellettuali del mondo occidentale per il quale il mondo occidentale combatté con il comunismo, riuscendo a farlo liberare dal Gulag e dagli ospedali psichiatrici dove ha trascorso quasi 12 anni della sua vita, in cambio della libertà di Luis Corvalan, segretario del partito comunista cileno. Oggi vive a Cambridge nel Regno Unito, insegna e scrive libri bellissimi e famosi come Il vento va e poi ritorna e il romanzo Il convoglio d'oro.
Bukovsky commenta: «La differenza fra me e il cileno Corvalan è che oggi Corvalan può vivere libero in Cile, mentre io non posso tornare in Russia nemmeno come turista». Questa intervista è stata raccolta a Roma il 15 maggio durante la presentazione di Eurss, Unione Europea delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, edizioni Spirali, scritto con Pavel Stroilov. Bukovsky parla dell'Italia come punta avanzata della penetrazione sovietica, di Mario Scaramella come di un suo amico, di Alexander Litvinenko come di un limpido patriota, della sua intervista a La Repubblica come di una manipolazione e parla di Romano Prodi, sul cui conto non ha documenti, ma soltanto idee chiare.
Secondo Vladimir Bukovsky la guerra fredda non è mai finita e meno che mai l'ha vinta l'Occidente, mentre nell'indifferenza generale la Russia è diventata il convitato di pietra dell'Unione Europea.
Ma in Eurss non è esposto tanto il Bukovsky-pensiero quanto una esposizione devastante di verbali, selezionata fra i centomila che Pavel Stroilov ha sfilato come un pirata dai computer di Stato in Russia per portarli in Gran Bretagna. Da questi verbali la sinistra socialista europea, più di quella comunista, da Willy Brandt a François Mitterrand, esce con le ossa rotte: una congrega di collaborazionisti che ha speso tutte le sue energie dal 1986 per dare la nascente Unione Europea in pasto alla fallita ma voracissima Unione Sovietica.
Il comunismo come ideologia non c'entra. C'entra invece la Russia con un progetto egemonico sull'Europa che fu per decenni inseguito con la pianificazione di una guerra che avrebbe dovuto permettere l'unificazione a mano armata, e che a partire da Gorbaciov procede con la messa in liquidazione del comunismo ideologico e il suo riciclaggio nell'Unione Europea, delle agenzie internazionali, dell'Onu e dei movimenti verdi ed ecologisti.
Il libro Eurss, Unione Europea delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è dunque la documentata storia di come andarono realmente le cose, mostrando la sinistra europea occidentale, dal segretario del Pci Alessandro Natta (che per primo illustrò a Gorbaciov la necessità di impossessarsi della nascente entità europea) a François Mitterrand e poi a tutti i socialisti europei (escluso ovviamente Bettino Craxi che anche per questa assenza sarà considerato e trattato come un nemico) in pellegrinaggio da Michail Gorbaciov per implorarlo di non lasciar dissolvere l'Urss, di usare se necessario la forza e bloccare con il pugno di ferro gli irrequieti Paesi del patto di Varsavia, per costruire ciò che i russi chiamavano la «Casa comune europea»: una graduale fusione con l'Urss e l'espulsione degli Stati Uniti. Gorbaciov, anche quando ormai l'Urss cadeva in pezzi, seguitava a ricevere una fila di questuanti fra cui il ministro degli Esteri spagnolo Ordonez, il polacco Wojciech Jaruzelsky (autore del colpo di Stato in Polonia nel 1980) e Felipe González che nel 1990 si confessava davanti a Gorbaciov come «intellettualmente disgustato di fronte ad atti del G7 che equiparano i problemi della democrazia a quelli dell'economia di mercato».
Secondo lei dunque la Russia di oggi sviluppa la politica dell'Urss di ieri?
«Ma è sotto gli occhi di tutti: basta pensare che sono le stesse persone, addestrate nelle stesse scuole, stesse carriere nelle stesse istituzioni. Recentemente hanno cambiato il nome da Kgb in Fsb ma non vuol dire molto. Per quel che riguarda l'Italia, poi, posso dire che la penetrazione sovietica era massiccia, anche se era diffusa in tutta l'Europa».
Noi abbiamo avuto a che fare con il terrorismo delle Brigate rosse e io ho potuto provare, grazie alla procura generale dell'Ungheria, che parecchi brigatisti facevano parte integrante dell'organizzazione terrorista «Separat» gestita dal Kgb a Budapest. Che cosa ne pensa?
«Il terrorismo politico è stato tutto inventato dall'Unione Sovietica. Non esisteva prima: nasce tutto da una stessa strategia e da piani e addestramenti sovietici».
Venendo al terrorismo dei giorni nostri, lei conosceva personalmente Alexander Litvinenko?
«Eravamo ottimi amici. Lo stimavo come un patriota, una persona per bene e un idealista».
Ed è lei che lo ha presentato all'eurodeputato britannico Gerard Batten?
«Sì, sono stato io».
Quindi è stato grazie a lei che Litvinenko ha raccontato a Batten quel che poi ha raccontato anche a Mario Scaramella, e cioè che secondo il generale Anatoly Trofimov, Romano Prodi era considerato dai russi «il nostro uomo»?
«Sì e per questo io lo presentai al deputato Batten. Io non ho mai avuto le prove che Prodi fosse agente della Russia. Ma non ne sarei sorpreso».
Secondo quel che abbiamo letto, Mario Scaramella quelle prove gliele chiedeva con ossessiva insistenza.
«Mario mi ha chiesto di guardare nei miei documenti per vedere se c'era qualcosa su Prodi, e io gli ho risposto che non avevo trovato nulla. La versione secondo cui Scaramella mi ossessionava per estorcermi a tutti i costi qualcosa su Prodi è un'invenzione del quotidiano La Repubblica».
Lei scrisse una lettera di sferzante smentita all'autore della sua intervista su quel giornale in cui si completava la distruzione del consulente parlamentare facendo dire a lei che si trattava di un caso psichiatrico, e di un imbarazzante cialtrone.
«Sono ben al corrente di queste falsità e avevo sperato, venendo in Italia, di poter visitare Scaramella in carcere per manifestargli tutta la mia solidarietà, ma non è stato possibile».
Lei ha inviato la sua smentita al giornalista Carlo Bonini, autore dell'intervista su Repubblica, il quale si è però ben guardato dal pubblicarla. Come mai lei ha atteso parecchie settimane prima di protestare?
«Perché non mi precipitai a leggere subito la traduzione in inglese perché ero in viaggio, ma quando la lessi mi infuriai. Sapevo che la reputazione di quel giornale era pessima ma quello che avevo sotto gli occhi era veramente troppo».
Come avvenne l'intervista?
«Mi chiesero se conoscevo Scaramella e se lo prendevo sul serio. Dissi di sì. Quando mi chiesero se non lo consideravo pazzo chiesi il perché di una tale domanda e mi dissero che in Italia “people say he's crazy”, in Italia lo considerano matto. Io risposi ridendo che infatti per noi nord europei tutti gli italiani sono un po' matti e che magari quelli del sud siano più matti di quelli del nord. Era una battuta: cercavo di sganciarmi alla svelta perché avevo un taxi che mi aspettava in strada. Quando lessi il testo mi trovai di fronte a uno sproloquio in cui rintracciavo qua e là le poche parole realmente pronunciate: una manipolazione astuta, abilissima. Così ho reagito denunciando la manipolazione e protestando, ma nessuno ha risposto e nessuno ha pubblicato la mia smentita».
Oleg Gordievsky definì la propria intervista a Repubblica per il 90 per cento una manipolazione e una fabbricazione: un testo che assestò un'altra mazzata sulla commissione Mitrokhin.
«Non è una novità. Sappiamo cos'è quel giornale. Per anni è stato usato dal Kgb come proprio portavoce (“mouthpiece”) allo scopo di diffondere disinformazione. Come lei ricorderà, nel 1990 ci fu una lotta mortale fra Gorbaciov e Eltsin e Gorbaciov voleva distruggere l'immagine di Eltsin in Occidente. E indovini chi pubblicò il più massacrante réportage, costruito in modo che avesse una risonanza mondiale, sull'orribile Eltsin? Naturalmente La Repubblica che descriveva il presidente russo come un inaffidabile ubriacone, imprevedibile e pericoloso. Era ciò che Gorbaciov voleva. Vede, in ogni Paese ci sono giornali tradizionalmente usati dal Kgb come “mouthpiece”. In Gran Bretagna abbiamo il Guardian: è notorio che viene usato dal Kgb. Io l'ho querelato due volte e ho vinto in entrambi i casi».
È fortunato. In Italia se uno fa causa per le manipolazioni, salta fuori un magistrato che assolve il manipolatore sostenendo che si tratta di diritto di cronaca.
«In Inghilterra sarebbe impossibile. Lì i giornalisti devono provare quello che scrivono. Comunque, in ogni Paese occidentale ci sono uno o due giornali usati tradizionalmente dal Kgb per la disinformazione e mi sento di dire senza tema di smentita che in Italia quel giornale è La Repubblica. È per questo che quando ci telefona Repubblica siamo doppiamente attenti. Anche Gordievsky la pensa come me e ne ha avuto la prova, certo».
Lei mi ha già scritto che è pronto a venire a testimoniare personalmente, come anche Gordievsky, davanti a un tribunale.
«Sì, e anche l'eurodeputato Gerard Batten scalpita per essere chiamato a testimoniare e anche Oleg Gordievsky».
Litvinenko in Italia riferì in un video, che io segretai come presidente della Mitrokhin perché le accuse che conteneva avevano come unica fonte un morto, quel che il generale Trofimov gli aveva detto. Cosa pensa della credibilità di Litvinenko?
«Litvinenko era una persona onestissima e su questo nessuno di noi ha mai avuto dubbi. Ed ero presente quando Litvinenko ripeté queste accuse su Prodi al mio amico Gerard Batten. E Gerard Batten disse: “Ma questa storia è straordinaria, se ne deve parlare”. Poi Batten la comunicò al Parlamento europeo chiedendo un'inchiesta su Romano Prodi».
Quindi lei esclude che Mario Scaramella avesse convinto e magari pagato Litvinenko affinché inventasse la storia di Prodi «nostro uomo»?
«Ma stiamo scherzando? Su questo ci sono altre informazioni che vengono da altri defezionisti dall'intelligence dell'Urss ma che hanno paura di parlare pubblicamente. Però in privato confermano con molti altri dettagli».
Lei ha mai assistito personalmente ad incontri fra Scaramella e Litvinenko?
«Sì, sono stato presente diverse volte. Fra loro c'era un rapporto ormai consolidato di amicizia».
Che cosa sa di questo Trofimov che venne ucciso e che parlò di Prodi come del «nostro uomo»?
«So che era un generale del Kgb a tre stelle in pensione».
Lo conosceva?
«Scherza? Mi avrebbe arrestato! Il fatto è che Alexander voleva andare da suo fratello in Italia e ne ha discusso con Trofimov».
Litvinenko le aveva mai parlato di Trofimov?
«In diverse occasioni. Mi ha raccontato che era molto vicino a Trofimov. Trofimov era un po' il suo mentore: un alto generale del Kgb che selezionava giovani e brillanti ufficiali per avviarli verso le migliori carriere e che aveva una grande stima per Litvinenko. Dunque, non potrei essere sorpreso se si scoprisse che quel che ha detto Litvinenko fosse pura verità».
Io ho anche raccolto e registrato, chiunque la può ascoltare dalla sua viva voce su Internet, l'intervista di Gordievsky in cui dice che Prodi nei primi anni Ottanta era la star del quinto dipartimento del Kgb, anche se non sa se e come avvenne il reclutamento.
«Ne abbiamo parlato con Gordievsky».
Lei fra le altre cose, nel suo Eurss scrive che di qui a poco ex agenti delle polizie segrete comuniste, come quelli della Stasi tedesca o della Securitate rumena, potranno essere arruolati come poliziotti europei e andare ad arrestare la gente su mandato di cattura europeo, in casa loro, magari con l'accusa di xenofobia.
«Gli europei sono così ciechi che non si rendono conto che d'ora in poi le retate a scopo politico in Europa saranno fatte usando agenti delle polizie segrete comuniste europee dell'Est».
Secondo lei siamo, come dice Michael Ledeen, alla vigilia di una grande tragedia che nessuno vuol vedere, come negli anni Trenta?
«Dipende. Non credo che ci sia l'intenzione di scatenare alcuna guerra.
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