Dentro il bunker milanese che ha nascosto Mussolini

Leggenda narra che Mussolini, nell’aprile del ’45, trascorse la vigilia della fuga da Milano in un rifugio sotterraneo di corso Monforte, nascosto sotto il cortile di Palazzo Isimbardi, attuale sede della Provincia. L’ipotesi, che contrasta con le cronache ufficiali, non è mai stata confermata se non da alcune testimonianze indirette. Ma è valsa ad attribuire al rifugio il nome di «Bunker di Mussolini», con il quale la struttura è passata alla storia.
Due pesanti porte antiscoppio tradiscono la vera natura dell’edificio, parzialmente coperto dall’edera rampicante: un vero e proprio ricovero antiaereo, finito di costruire nel 1943, in piena guerra mondiale, originariamente destinato alla protezione del prefetto e del suo staff. La struttura, di proprietà della Provincia, è attualmente inaccessibile al pubblico: gli unici ad averla visitata, nel 2006, sono gli speleologi della Scam Gianluca e Davide Padovan, insieme a Roberto Basilico, presidente della Federazione nazionale cavità artificiali. I risultati delle loro esplorazioni, le planimetrie e le immagini inedite, che vedete qui pubblicate in esclusiva per il Giornale, saranno mostrati oggi al convegno «I rifugi antiaerei a difesa degli inermi» (viale Ca’ Granda 19, dalle 14.30, ingresso libero).
Il bunker - che la Provincia, secondo quanto dichiarato qualche settimana fa, avrebbe deciso di restaurare, per farne un museo – si presenta come una struttura a pianta rettangolare, su due piani, con proprietà «antibomba» garantita da alti spessori in calcestruzzo (circa due metri per parete). Al suo interno poteva ospitare fino a 180 persone: vi erano la stanza del prefetto, un centro telefonico e uno telegrafico, i servizi igienici, compresa una vasca da bagno, nonché gli impianti per la ventilazione e la filtrazione dell’aria, fondamentali per proteggersi dai gas tossici. Tuttora, calandosi nella botola del bunker, si possono distinguere le batterie dei filtri marcati «Pirelli 1944», così come le cosiddette «biciclette» che, in mancanza di corrente, consentivano di azionare il ventilatore con un semplice pedale. L’edificio, secondo le ricostruzioni, era anche provvisto di badili, picconi, recipienti per l’acqua potabile, cassette di legno con le provviste e i materiali di pronto soccorso.
Ad alimentare il mistero del bunker, contribuisce un’altra bizzarra architettura presente nel cortile: una torre cilindrica in cemento alta 22 metri, con il tetto in metallo, simile a un’enorme matita. La torre, eretta nel ‘39, ospitò per tutta la durata del conflitto la centrale di allarme aereo: in caso di bombardamento, dall’edificio partiva il segnale per avvisare la cittadinanza. Da qui il nome di «Torre delle sirene», che ancora oggi contraddistingue la costruzione. Entrando, si possono scorgere i frammenti dei decori che abbellivano i vani (una caratteristica pressoché unica nel panorama dei ricoveri antiaerei) e le scritte che tappezzavano le pareti: «Bunker comunicazioni», «Centralino pref.», «Vietato fumare», fino alla (poco) consolatoria «Meglio allarmati che bombardati».
La fuga del Duce dal bunker, invece, troverebbe riscontro in alcune testimonianze raccolte dallo speleologo Gianluca Padovan. Mussolini – dicono le fonti - sarebbe stato visto abbandonare la prefettura proprio da una delle porte blindate del rifugio, e non dal Palazzo del Governo, come riportano i documenti ufficiali.

Al passo carraio di Vivaio 3 lo avrebbe atteso una Fiat Topolino con la quale si sarebbe allontanato dalla zona, per poi ricongiungersi con il grosso del convoglio: gli alti gerarchi, l’amante Claretta Petacci e la scorta tedesca. Una fuga disperata verso la morte.

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