RomaLe riforme più difficili sono quelle a costo zero. Lo sa il ministro dellEconomia Giulio Tremonti che venerdì - annunciando la moratoria sulle scartoffie per le piccole imprese - ha ricordato come le «lenzuolate» di Pier Luigi Bersani (le liberalizzazioni del centrosinistra) abbiano avuto lo stesso destino degli analoghi tentativi fatti dal centrodestra. Arenate grazie allefficacissima opposizione delle corporazioni.
Se nè ricordato anche lautore del libro citato dal ministro in quelloccasione: Volevo solo vendere la Pizza, divertente cronaca di un tentativo di aprire una mini azienda, fallito di fronte alla giungla di adempimenti, allincongruenza di corsi di formazione utili solo a produrre scartoffie e allimpossibilità di seguire alla lettera norme sul lavoro, che sembrano fatte su misura per i furbi. «Per presentare il libro - ricorda lautore, il giornalista Luigi Furini - feci molti incontri con Daniele Capezzone che era presidente della commissione Attività produttive della Camera. Voleva fare la norma per creare unimpresa in sette giorni, secondo lo stesso principio illustrato da Tremonti. Cerano intese bipartisan, ma siamo ancora qua a parlarne». E dire che a rimetterci sono le piccole imprese, che a parole tutti considerano la spina dorsale delleconomia nazionale. A ricordarlo ieri sono stati gli artigiani di Mestre che hanno stimato il costo complessivo della burocrazia per le piccole imprese a 11,5 miliardi di euro allanno. Un macigno; cifra che vale una finanziaria che ogni anno viene confermata e che grava tutta sulle spalle di chi produce ricchezza.
Non stiamo parlando di costo del lavoro né di tasse e contributi né di investimenti in vera sicurezza. Si tratta per lo più di timbri, moduli, pratiche e adempimenti che riguardano tutte le attività delle imprese.
Solo la gestione del lavoro - secondo una stima del Sole 24ore di qualche tempo fa - costa ai datori 6,9 miliardi allanno. Soldi, beninteso, che non vanno in tasca ai dipendenti né allerario e ai quali vanno aggiunti 3 miliardi che se ne vanno per la previdenza. Non in contributi, ma in scartoffie. Ci sono poi novità relativamente recenti, come la privacy, che costa da sola due miliardi, così come gli adempimenti delle norme sullambiente. E ci sono anche 620 milioni che se ne vanno in tutela del paesaggio.
Almeno fossero efficaci, ma invece ci si perde su dettagli. Furini snocciola alcuni degli esempi che hanno fatto il successo del suo libro (alla sesta edizione e che presto potrebbe diventare un film). «La legge definisce in maniera puntuale cosa è un pavimento bagnato e cosa uno asciutto. Se hai un po di ammoniaca ti classifica come azienda a rischio chimico. E tutto questo non impedisce che in Italia ci siano ancora tanti incidenti sul lavoro o che si scoprano raffinerie chiuse da anni, ma con i depositi ancora pieni di sostanze chimiche». Giusto sospendere la burocrazia per i piccoli imprenditori, quindi, ma «bisogna proprio intervenire sulle norme, non basta spostare i controlli ex post. «Adesso le regole sono talmente complicate che è come se non esistessero».
Nel ginepraio della burocrazia finiscono soprattutto le aziende con meno di dieci addetti, che sono il 95% del totale delle imprese italiane. In media, 1.587 euro a dipendente, contro una media nazionale pari a 1.226 euro, secondo i calcoli della Cgia. «È come avere un altro dipendente, solo che non fa niente», ironizza Furini. La classifica delle vittime della burocrazia, poi, non avvantaggia le piccolissime imprese neppure quando si parla di numero di adempimenti medi necessari per sbrigare il carico burocratico che pesa, ogni anno, su ciascun addetto. Si va così dagli 8,4 adempimenti medi per le aziende che contano fino a cinque dipendenti, rispetto ad una media nazionale pari a 5,5, ai 7,3 per quelle che danno lavoro da 6 fino a 9 dipendenti. E ancora, dai 6,4 adempimenti per addetto nelle imprese con un numero di dipendenti che va da 10 a 19, ai 3,5 adempimenti delle aziende che arrivano a 49 addetti; per finire con i 2,7 adempimenti per ciascun addetto che ricadono per le aziende che contano da 50 a 499 dipendenti.
La rivoluzione liberale del governo agirà proprio a favore delle Pmi. E dovrebbe dargli la possibilità di iniziare a lavorare e guadagnare da subito. Senza dovere prima risolvere i rebus imposti dalla burocrazia, che a parole nessuno vuole, ma che è sempre lì.