Politica

Bush: è un atto di giustizia per gli iracheni

Ma in Europa solo Londra lo segue: l’Ue ricorda la sua contrarietà alla pena capitale e Parigi «prende atto» controvoglia. Mosca dura: «Verdetto suggerito da fuori»

Roberto Fabbri

Un atto di giustizia per il popolo iracheno e una pietra miliare per la sua giovane democrazia, per un Paese in fase di ricostruzione dopo gli anni terribili della dittatura. Con poche parole lette all’aeroporto di Waco, nel Texas, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha commentato la condanna a morte dell'ex dittatore iracheno Saddam Hussein, decisa da un tribunale speciale iracheno: Bush ha aggiunto un ringraziamento alle forze armate americane, ricordando che un tale risultato «è stato possibile grazie al loro sacrificio». In precedenza il portavoce della Casa Bianca Tony Snow aveva parlato di «una buona giornata per il popolo iracheno» e il segretario di Stato Condoleezza Rice di «trionfo sul dominio del terrore», aggiungendo a nome del governo e del popolo americani «un plauso a quei coraggiosi iracheni, siano essi giudici, procuratori o avvocati della difesa, che continuano a lavorare ogni giorno in nome della giustizia, della democrazia e dello stato di diritto in Irak».
Toni meno entusiastici sono stati utilizzati da esponenti dell’opposizione democratica americana. Per il leader al Senato Harry Reid «gli iracheni hanno ottenuto il caos in cambio di un dittatore: nessuna di queste opzioni è accettabile, specialmente quando presi nel mezzo ci sono i nostri soldati; abbiamo già visto altre pietre miliari passare senza lasciare segni durevoli di progresso e se anche questa volta andrà così vuol dire che è ora di prendere una nuova direzione in Irak».
In Europa solo da Londra sono arrivati commenti sintonizzati sulla lunghezza d’onda della Casa Bianca. Per il resto solo critiche, variamente motivate, alla scelta del tribunale iracheno di mandare Saddam Hussein alla forca. «Saluto il fatto che Saddam e gli altri imputati siano finiti davanti alla giustizia e abbiano dovuto rendere conto dei loro crimini» ha detto il ministro britannico degli Esteri Margaret Beckett, secondo la quale sotto quel regime «sono stati commessi crimini mostruosi», mentre i verdetti pronunciati a Bagdad sono giunti al termine di un processo trasparente e condotto «sotto la sorveglianza dei media».
Altra la musica suonata sul Continente. Se la Commissione europea, il «governo» dell’Unione europea presieduto dal conservatore portoghese Manuel Barroso, ha scelto di non commentare, la presidenza dell’Unione ha invece ricordato che l’Ue è contraria alla pena di morte in tutti i casi e che quindi non si dovrebbe applicarla neanche a Saddam Hussein. La presidenza ricorda comunque che «stabilire la verità e chiamare a rispondere per i crimini commessi durante il passato regime aiuterà in futuro a portare avanti il dialogo in Irak».
Dai principali governi europei piovono invece critiche. Il ministro degli Esteri francese Philippe Douste-Blazy ha detto che Parigi «prende atto», sperando che la condanna a morte di Saddam «non provochi nuove tensioni in Irak». La Francia e l’Ue, ha aggiunto, sono contrarie alla pena capitale e per la sua abolizione in tutto il mondo e Parigi «definirà nei prossimi giorni con i suoi partner europei le modalità per far conoscere questa posizione alle autorità di Bagdad». Critico anche il premier socialista spagnolo José Luís Zapatero, secondo il quale Saddam deve rispondere delle sue azioni ma non con la pena di morte, che non frenerà la violenza in Irak.
Fuori dall’Unione europea, la Russia esprime tutta la sua contrarietà alla sentenza di Bagdad, definendola «suggerita dall’esterno» e paventando «conseguenze catastrofiche per l’Irak che già si trova sull’orlo della disgregazione. Il ministro degli Esteri della Turchia, che questa disgregazione teme moltissimo perché sa che potrebbe interessarla direttamente riaccendendo le velleità indipendentiste della sua minoranza curda, ha detto invece che gli iracheni «dovrebbero rallegrarsi avendo subito molte disgrazie», ma ha invitato a mantenere l’Irak unito senza dar credito «a false alternative».

Il governo israeliano ha scelto invece di non fare alcun commento.

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