Caro direttore,
è difficile in poche righe concentrare le motivazioni che mi hanno spinto a scriverle, rischiando di sembrare inopportuno e di cadere nel pietismo. Vorrei fare appello alla sua sensibilità di uomo e di intellettuale, nella consapevolezza e nella profonda convinzione che la solidarietà umana esiste ancora. Insegno Botanica Farmaceutica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, questa è la mia professione, che svolgo con grande passione da molti anni. Dopo la scomparsa di mio padre ho ereditato l'attività di famiglia «Ai Monasteri», operante dal 1894, negozio storico ubicato in corso Rinascimento n. 72, a due passi da Piazza Navona. Storico non soltanto per l'età anagrafica, ma per ciò che rappresenta, un piccolo museo, pensi che gran parte dell'arredamento è ancora quello originale. Appartiene alla mia famiglia da quattro generazioni e ha sviluppato nel corso del tempo una originale e inconsueta attività commerciale. Attraverso il nostro negozio le Comunità Monastiche dei vari Ordini hanno potuto sopravvivere, commercializzando i prodotti frutto del loro lavoro. Si tratta di produzioni artigianali che vantano formulazioni con piante medicinali, di antica tradizione monastica, molti dei prodotti si rifanno a formule cinquecentesche e settecentesche ed ancora vengono lavorate con le stesse tecniche di allora. La crisi economica che stiamo attraversando e probabilmente la mia incapacità gestionale (ritengo di essere uno studioso, forse un bravo insegnante, ma non un altrettanto bravo imprenditore), minacciano seriamente l'imminente chiusura. Mi duole profondamente pensare di dover abbassare definitivamente una serranda, che per oltre un secolo ha resistito alle moderne tecnologie, restando fedele alle tradizioni e all'impegno preso con la clientela che ha potuto apprezzarne la qualità e l'originalità, non solo perché ne sono emotivamente coinvolto, ma perché sono convinto che sarebbe un vero peccato lasciar morire un autentico reperto storico. Perché le scrivo? Spero di trovare in lei il giusto mezzo per poter trasferire ad un più ampio pubblico questa mia preoccupazione, affinché il `messaggio che per tanti anni abbiamo tentato di diffondere possa venir recepito da un maggior numero di persone: non si tratta solo di commercio, ma di storia, di tradizione. Ne sento la responsabilità e il dovere di difendere qualcosa che è emblema di un'operosità manuale e il continuum di una tradizione storica, purtroppo in via di estinzione.
Dottor Umberto Nardi - Roma
Caro dottor Nardi, apprezzo molto il tono della sua lettera, così dignitosa, così umile. Non conosco la sua attività commerciale, ma la descrizione mi incuriosisce: stamattina stessa un cronista del «Giornale» sarà da lei, per incontrarla e per capire che cosa si può fare. È giusto evitare che le botteghe storiche vengano travolte dalla crisi, è giusto difendere un patrimonio che è a servizio dei monasteri e che permette ancora oggi di diffondere le ricette dei conventi che risalgono fino al Cinquecento.
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