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C'è troppo lavoro? Impiegati spediti in catena di montaggio

Oderzo, provincia di Treviso. Per far fronte all’aumento degli ordinativi la Plastal, azienda di componenti auto, invece di chiamare personale esterno ha chiesto aiuto ai suoi colletti bianchi: che ora lavorano fianco a fianco con gli operai

C'è troppo lavoro? Impiegati 
spediti in catena di montaggio

Dicevano che gli italiani erano cambiati, che non volevano più sporcarsi le mani con lavori umili, faticosi. Sostenevano, i sociologi, che ormai si trattava di una tendenza irreversibile e che proprio per questo gli immigrati erano indispensabili. Chi va raccogliere i pomodori nei campi o l’immondizia per le strade? Chi è ancora disposto a trascorrere giornate intere alla catena di montaggio, accettando turni di notte? Insomma, a sentire certi esperti, il nostro sembrava essersi trasformato in un popolo di viziati, un po’ snob, con una sola ambizione: quella del colletto bianco.

E invece non è così. O perlomeno: non è più così; perché la crisi ha colpito tutti, anche dirigenti che pensavano di essere a posto per la vita; anche quel Nord est in costante crescita e da tutti invidiato. Ma proprio qui, nel Nord Est, sta forse nascendo una nuova Italia, che non riesce a sconfiggere la recessione planetaria (e come potrebbe, da sola?), ma che la affronta con lo spirito giusto, riscoprendo quello del Veneto di qualche decennio fa, quando la volontà, l’abnegazione la solidarietà erano gli unici asset disponibili. Vincenti allora, vincenti oggi.

La storia, segnalata dal Gazzettino, si svolge a Oderzo, in provincia di Treviso e riguarda la Plastal, un’azienda che produce componenti per il settore automobilistico. Fino a un paio di anni fa era uno dei fiori all’occhiello della provincia e dava lavoro a oltre 700 persone, orgogliose di appartenere a una multinazionale svedese, la Plastal Holding Ab, che aveva scelto proprio Oderzo come sede di uno dei quattro centri mondiali di progettazione.

Ma il 6 marzo la casa madre ha avviato le procedure fallimentari al tribunale di Goteborg. E in Italia l’orgoglio si è trasformato in angoscia. Che cosa fare, arrendersi o combattere? I settecento dipendenti non hanno avuto dubbi: combattere. E per una volta si sono trovati tutti d’accordo: l’amministratore delegato Manuela Pes, i sindacati, i creditori. Via al concordato preventivo, con l’obiettivo di far nascere una «Nuova Plastal» solo italiana. Senza interrompere la produzione, senza licenziare nessuno.

Ma per mesi gli ordini hanno continuato a calare. Inevitabile ricorrere alla cassa integrazione, ma nella forma meno indolore, quella della cassa integrazione indiretta, a carico solo degli impiegati e dei funzionari, che hanno accettato di rimanere a casa una settimana al mese per un anno, a rotazione. Gli operai invece sono rimasti in fabbrica. Tutti.

Esattamente l’opposto di quel che è avvenuto nelle grandi banche americane, dove i tagli hanno colpito soprattutto gli impieghi di livello più basso, lasciando la maggior parte dei dirigenti al loro posto. Perché a Wall Street prevale la logica della casta, che ha un solo valore: l’avidità. Treviso invece è all’antica, crede ancora all’equità e alla condivisione, nella buona e nella cattiva sorte.

E talvolta il fato aiuta; perché da qualche settimana sono ricominciate ad affluire le comande, grazie anche agli incentivi statali che hanno ridato slancio alle vendite di automobili nuove. «Non si tratta di cifre enormi ed è prematuro pensare che la ripresa sia iniziata», dichiara al Giornale Manuela Pes, ma sono sufficienti per accelerare i ritmi di produzione. E non di poco. Negli anni passati, in queste circostanze, si assumevano operai con contratti a termine. Ma perché cercare collaboratori esterni quando in azienda c’è chi è costretto al sussidio di disoccupazione?

Così l’azienda ha deciso di chiedere ai cassintegrati se volevano rientrare. Non in ufficio, però; ma alla linea di montaggio. E senza sconti sui turni, perché alla Plastal si lavora 24 ore su 24. «E la risposta è stata positiva - spiega la Pes - tanto più che la scelta era volontaria. Molti hanno risposto di sì». Secondo il Gazzettino, tra questi ci sarebbe persino un quadro.

Meglio indossare la tuta blu e guadagnare come prima, piuttosto che stare a casa a far nulla e con la busta paga falcidiata. Senza snobismi, senza sentirsi sminuiti. Fieri della propria tuta blu.
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