Andrea Nativi
Quella in Libano sarà certamente una missione molto costosa e visto lo stato di quasi indigenza in cui versano le Forze Armate italiane ci sarà bisogno di ricorrere a stanziamenti speciali.
Le missione internazionali sono finanziate attraverso fondi extra-bilancio difesa, che fino a poco tempo fa ammontavano a 1,2 miliardi di euro all'anno e che sono stati poi decurtati in previsione della riduzione degli impegni e dei costi conseguenti alla prossima conclusione della missione in Irak.
In teoria dovrebbe essere sufficiente ripristinare questi stanziamenti per ottenere la necessaria copertura: questione di un paio di centinaia di milioni di euro aggiuntivi all'anno. Tuttavia va considerato che i fondi per le operazioni internazionali pagano solo i costi vivi: consumi, indennità, trasporti, materiali, ma non i mezzi che ad ogni nuovo impegno sono sempre più logorati. Molti vanno perduti o non sono riparabili. E dovranno essere sostituiti, con costi che non possono essere scaricati sull'anemico bilancio ordinario.
Certo la nuova missione offre alcuni vantaggi: si svolgerà nel nostro «giardino di casa», nel Mediterraneo, ad una distanza ragionevole da tutte le nostre basi militari e sarà possibile affidarsi al trasporto navale per far affluire i reparti, sostenerli logisticamente e avvicendare uomini e mezzi. Ciò si traduce in una significativa riduzione dei costi, nonché dei tempi necessari per far affluire rinforzi, pezzi di ricambio, munizioni. Quindi il livello di autosufficienza e la consistenza degli stock del contingente potrà essere inferiore rispetto a quanto non avvenga per le forze schierate in Afghanistan o in Irak.
Inoltre l'Italia partecipa all'Unifil dalla sua costituzione, nel 1978 ed ha già operato in Libano in passato: sappiamo dove andiamo, quale è il contesto e, vista anche l'importanza del nostro ruolo, potremo anche cercare di farci assegnare un'area geografica di nostro gradimento, possibilmente relativamente tranquilla e facilmente raggiungibile. Per contro questa è una operazione ad alto rischio e, al di là della querelle sulla definizione del tipo di missione, che appassiona i politici, ma non ha particolare rilevanza dal punto di vista tecnico-operativo-finanziario, comporterà lo schieramento di un contingente «pesante», per numero e tipo di soldati e di mezzi necessari. Se in Afghanistan basta un contingente abbastanza leggero, in Libano la prudenza suggerisce una ben diversa composizione. E i mezzi pesanti «costano» di più. Quanto a supporto aereo, in entrambi i casi c'è bisogno del massimo possibile, con elicotteri da trasporto, ricognizione, assalto e combattimento, Csar (Combat search and rescue) e sarebbero anche preziosi i cacciabombardieri AV-8B Harrier II. Per non parlare delle unità navali della Marina che potranno trasportare, ma anche supportare il contingente. È probabile quindi che il contingente per la Unifil finisca per risultare tra i più costosi in assoluto. Questo ammettendo che tutto vada per il meglio e che le nostre truppe non siano coinvolte in significative operazioni di combattimento. C'è un altro problema: la situazione del bilancio difesa è così critica che molti reparti sono stati posti in «posizione quadro», non sono più operativi, si è dovuto sospendere la manutenzione e l'aggiornamento di aerei, elicotteri, navi mezzi, da combattimento e non, addirittura mancano i soldi per l'addestramento: le navi della Marina non escono più dai porti, gli aerei non volano, i reparti dell'esercito hanno sospeso le attività esercitative complesse.
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