Caccia al cachet Quanto pagano i festival culturali (se pagano)

Oggi, quando si sente la parola «cultura», più che alla pistola, come voleva Goebbels, bisogna mettere mano al portafoglio. Ma il portafoglio è in crisi e anche i festival entrano in affanno. Non sarà colpa dei cachet degli artisti ospiti, che a volte sono i piagnoni meglio pagati di tutto il business festivaliero?
«Perché quando si parla di tagli alla cultura - ci dice l’assessore alla Cultura di Milano Finazzer Flory, che l’altro ieri ha sollevato il problema durante la presentazione della Milanesiana - non lo si fa mai sul versante degli artisti? Alcuni di loro stanno facendo i soldi utilizzando retoricamente questo settore e l’allure morale che si porta dietro. Mercenari senza passione. I cachet, per trasparenza, andrebbero pubblicati».
Nell’attesa della pubblicazione, proviamo a dare un’occhiata. «Con gli artisti e i loro agenti - ci dice Elisabetta Sgarbi, ideatrice e direttore della Milanesiana - bisogna dialogare e costruire un’offerta che li seduca. Ovvio che un concerto costi più di un reading. Noi chiediamo agli autori di scrivere su un tema appositamente per il festival: su quel testo esiste un copyright che va trattato con l’avente diritto, se vogliamo usarlo. Quando venne alla Milanesiana Keith Jarrett, ci chiese una cifra spropositata. Costruimmo un programma che puntava su questo asso nella manica, e tirando il più possibile sul gettone e attraverso lo sbigliettamento riuscimmo a concludere. Ad ogni modo, su un budget complessivo di 800mila euro, il 30% se ne va per gli artisti. Detto questo, l’idea che la cultura stia fuori dal mercato è un po’ il limite del nostro Paese».
«Su un budget di quattro milioni e mezzo - ci racconta Ernesto Ferrero, patron del Salone del Libro di Torino - destiniamo a scrittori e artisti tra i 120 e i 130mila euro, più che altro per l’accoglienza. Certo, alcuni di loro vogliono viaggiare in business. Se chi tiene una lectio magistralis sostiene delle spese per scriverla, riconosciamo un compenso, mai sopra i mille euro. Più che altro giochiamo sulla possibilità di auto-promozione che offriamo. Per gli spettacoli, quasi tutti da camera, il gettone non supera mai i 2500 euro». Si mormora, però, di cachet da 10mila euro, forse a Roberto Saviano. «Mai pagato questa cifra a nessuno. Non ci può essere chi è pagato tanto e chi poco».
Ancora più virtuoso il festival di Massenzio. «Zero cachet - ci dice la direttrice Maria Ida Gaeta -. Quest’anno, poi, siamo passati da 500 a 400mila euro di budget: gli autori vengono gratis, salvo viaggio e accoglienza. Prendiamo il Nobel Amartya Sen: non ha voluto gettone. Riconosciamo al massimo 500 euro ai musicisti. È l’incastro di interessi tra festival, editori, istituzioni pubbliche e autori che tiene in piedi la macchina. Paul Auster è venuto gratis, raccomandando poi anche a Salman Rushdie di non mancare. Per presentare Isabella Santacroce, Gianna Nannini si è mossa senza gettone, con le spese tecniche pagate. Lo stesso vale per i filosofi Cacciari, Marramao, Zecchi e Julia Kristeva, che chiuderà la rassegna il 22 giugno».


«Trasferimenti e accoglienza per gli artisti - ci spiegano Marzia Corraini e Luca Nicolini del Festival di Mantova - pesano tra il 15 e il 20% sul budget, che è intorno al milione e mezzo di euro. Non ci sono gettoni. Qualche volta concordiamo con gli ospiti un giorno di albergo in più, un volo aereo particolare. Alcuni sono stati così bene che hanno rinunciato persino al rimborso spese».

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