La caccia al premier rallenta la giustizia

La relazione del Guardasigilli Angelino Alfano sulla situazione della giustizia in Italia ha dipinto un quadro drammatico dello stato in cui versano i giudizi penali, mentre quelli civili danno segni di miglioramento. La relazione è stata approvata con una consistente maggioranza tanto alla Camera che al Senato, smentendo le voci di debolezza della maggioranza che si erano diffuse, ma ponendo anche in luce la necessità di riforme e il fatto che adesso la giustizia procede a due velocità. Dove (il civile) le riforme e i mutamenti di mentalità vengono recepiti il sistema migliora; dove si fa opposizione alle riforme e al mutamento di mentalità (il penale) il sistema continua ad andare male.
Nel settore civile, dice il ministro Alfano, dopo decenni di aumento dell’arretrato, quest’anno c’è un risultato straordinario che, negli ultimi trent’anni, si è manifestato una sola volta: il numero dei processi civili pendenti, nel giugno del 2010, è sceso del 4 per cento, arrivando a 5.600.616 rispetto all’anno precedente, cosa che marca una decisa inversione del trend negativo. Il dato dipende da alcuni fattori positivi introdotti dal governo Berlusconi: le riforme in materia di processo civile, la sempre più completa informatizzazione degli uffici giudiziari, le modifiche normative delle spese di giustizia e la disciplina del contributo unificato che ha abbattuto sensibilmente il numero delle opposizioni a sanzioni amministrative.
Nel settore penale i dati segnalano una stabilità della pendenza, con un modesto decremento, poiché si passa da 3 milioni e 335mila procedimenti pendenti al 31 dicembre 2009 a 3 milioni e 290mila al 30 giugno 2010. Ciò, osserva Alfano, segnala la necessità di una maggiore incisività degli interventi sul processo penale che si dovrà attuare nella seconda metà della legislatura. In questo quadro negativo, spicca un dato positivo, l’aumento del 10,5 per cento degli indagati di reati di competenza delle direzioni distrettuali antimafia. Una parte del merito è dei magistrati e una parte degli strumenti garantiti con i numerosi interventi legislativi e amministrativi in materia di antimafia da parte del governo Berlusconi. La durata dei processi penali in Italia, che è di oltre 8 anni dall’inizio delle indagini, insieme a quella dei processi civili è un record europeo che ci pone in basso nella graduatoria della competitività e in quella della convenienza a investire, nonché in quella del grado di libertà economica, compilate annualmente dai maggiori istituti di ricerca internazionali, pubblici e privati.
Il tema è, dunque, molto grave dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista etico, soprattutto per la giustizia (spesso ingiustizia) penale. Aumentano i cittadini che chiedono di essere indennizzati a causa dell’irragionevole durata del processo, ottenendo decine di milioni di euro di risarcimenti, con un trend di crescita delle richieste pari al 40 per cento l’anno. E abbiamo nelle 204 carceri sovraffollate, di media, 350 detenuti in ciascuno, tanti quanti gli abitanti di un piccolo paese di montagna. E poiché si tratta di una media, ci sono strutture che sfiorano il mezzo migliaio di detenuti. Circa il 12 per cento dei soli processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica e ogni anno si prescrivono 170mila processi, 465 al giorno.
Appare evidente che le due velocità che il ministro Alfano segnala dipendono da due fattori: mentre la riforma del processo civile va avanti, quella del processo penale è bloccata dall’irragionevole argomento che serva a Berlusconi. Si dimentica che serve anche a ridurre il numero di persone che si suicidano, in carcere, per disperazione.

L’altra ragione per cui la lentezza continua a imperare nel settore penale è che una parte rilevante delle energie non è dedicata a sventare la delinquenza che dilaga nelle città e sui treni, mettendo in pericolo soprattutto le persone anziane e meno difese, cioè i deboli, ma viene impiegata per occuparsi delle faccende private di Berlusconi, con l’effetto di interferire nella politica.Francesco Forte

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