Sindaco Massimo Cacciari, è ricomparso Romano Prodi e nel Partito democratico, adesso, sono in tanti ad esultare. Si unisce a questa schiera?
«Per carità. Quello di Romano non è certo un gran bel ritorno per il Pd».
Riappare l’Ulivo, Pd addio?
«Se l’idea è quella di tornare indietro, di fare una sorta di Rifondazione ulivista, si abbia il coraggio di dire che il Pd è finito. È chiaro che non c’è alcuna prospettiva politica vincente».
È irrealistico tornare indietro?
«Certo che si può. È una questione di scelte, di linea politica. Soltanto che subito dopo occorre sciogliere il Pd. E archiviare un progetto giusto».
Non mi sembra particolarmente sorpreso del ritorno del Professore.
«Non vedo alcun elemento di novità. D’altronde la sua posizione è sempre stata questa: cercare di tenere insieme a tutti i costi la vecchia coalizione di centrosinistra».
Ma Romano è stato il solo a riuscire a battere Berlusconi.
«Però ha guidato un esecutivo che cercava di rimanere in vita con un accanimento terapeutico: e logicamente ha fallito. Peccato che non abbia mai spiegato la questione di fondo».
Che sarebbe?
«Il vero motivo del suo fallimento. Il perché i partiti che formavano l’Ulivo non sono mai riusciti a stare insieme».
Tuttavia anche lei aveva creduto nell’Ulivo.
«Certo che ci avevo creduto: dieci anni fa, però. Poi i fatti hanno dimostrato che l’Ulivo non funzionava e non poteva funzionare».
Prodi s’è vendicato di Veltroni e ha detto che è caduto anche per colpa sua, nel momento in cui ha dichiarato di voler correre da solo, senza le «ali». Lettura condivisibile?
«Assolutamente no. Prodi è entrato in crisi ed è caduto perché oramai era decotto da tempo. Forse avrebbe potuto vivacchiare per un po’ ma il problema era di fondo. Al di là degli errori tattici».
Quali errori tattici?
«Ad esempio il rapporto con l’opposizione. Dissi che era una cazzata non dare la presidenza del Senato al centrodestra. Ma ripeto, questi sono tatticismi, il nodo vero era sulla questione di fondo nell’alleanza».
Una coalizione troppo raffazzonata?
«Ma certo. Dopo l’esperienza del primo governo Prodi s’è ritentato con la stessa ricetta: e sono stati due anni di inferno. Era evidente che con l’ammucchiata non si potevano fare le riforme radicali di cui il Paese aveva bisogno».
Veniamo a oggi: riproporla adesso sarebbe un errore?
«Un errore madornale. Il problema è che i prodiani, ahimè, sono convinti che Veltroni abbia fallito sulla sua linea politica».
E non è così?
«Veltroni non ha sbagliato all’inizio. Ha commesso degli errori, questo non lo nego e l’ho ripetuto più volte. Ha sbagliato, dall’inizio, la gestione del partito. Non ha avuto abbastanza coraggio ed è stato ondivago sulla linea da dare al Pd. Non è riuscito ad essere forte e chiaro».
Troppa debolezza nella gestione della leadership?
«Esatto. Ma aveva assolutamente ragione nel pensare a un progetto politico nuovo, diverso, che finalmente non fosse una semplice sommatoria dei vecchi partiti. Ma poi, purtroppo, ha commesso l’errore di voler parlare alle vecchie anime degli ex Ds ed ex margheritini».
E adesso c’è il reale pericolo di tornare indietro, quindi?
«Se le forze che compongono il partito democratico non riescono a definire un futuro comune, allora si torni alle vecchie casematte, ai vecchi schemi delle alleanze».
E per il Partito democratico sarebbe la morte?
«Ma è evidente: il Partito democratico può esistere soltanto ed esclusivamente se riesce a mantenere fede alla promessa veltroniana».
E se così non fosse?
«Non ci sono tante alternative: ci si divide. Ci saranno i prodiani da una parte, i socialisti con D’Alema dall’altra; qualcuno si accamperà con Casini e qualcun altro se ne andrà nel Pdl».
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