Cade l’ultima roccaforte Le truppe di Gheddafi sulla strada di Bengasi

Il raìs mantiene la minaccia annunciata al "Giornale". E intanto a Parigi il G8 non si accorda per la no-fly-zone

Cade l’ultima roccaforte Le truppe di Gheddafi sulla strada di Bengasi

Tripoli - Quando il colonnello Gheddafi parla dei ribelli, che hanno inutilmente cercato di abbatterlo, lo fa con delle smorfie di disgusto. Oppure muove le mani come se dovesse schiacciare una pulce o far volar via una mosca. Nell'intervista esclusiva a Il Giornale di lunedì, ripresa in mezzo mondo, usava questa mimica per ribadire che i rivoltosi «non hanno speranze». Le notizie che si susseguono dal fronte a sud di Bengasi, roccaforte anti Gheddafi, sembrano dargli ragione. Il colonnello conosce l'inglese e capisce subito le domande senza bisogno del traduttore. Ogni volta che si tornava sui ribelli cambiava anche il modo di parlare in arabo diventando più veloce e sibilando, come se il nemico fosse poca cosa, con le spalle al mare e costretto a scegliere fra la resa e la morte.

Le forze governative hanno conquistato Agedabia, lo snodo stradale strategico che porta a Bengasi, ma pure a Tobruk, lungo 400 chilometri in mezzo al deserto dove non ci sarebbero ostacoli. Il colonnello, nell'intervista di lunedì, ha ribadito che l'ordine è assediare le grandi città in mano ai rivoltosi. Se i carri armati della 32ª brigata, guidata dal figlio Khamis, marciassero su Tobruk, tutta la Cirenaica finirebbe in una sacca. Ieri la televisione libica annunciava che la bandiera verde del colonnello sventola già dai sobborghi di Tobruk a Sallum, il posto di frontiera con l'Egitto. Notizia incontrollabile, ma se fosse vera la regione ribelle non avrebbe scampo. Gli anti Gheddafi hanno il mare alle spalle, ma il colonnello ha sostenuto che se non si arrendono «possono scappare via». Si fa strada l'idea che alla fine saranno le navi della Nato, comprese quelle italiane, a recuperare i civili in fuga dalla Cirenaica ed i resti dei ribelli, per evitare un bagno di sangue.

La tv libica ha mandato in onda delle immagini di manifestazioni dei "verdi" pro Colonnello alle porte di Misurata. La terza città del Paese, a soli 200 chilometri ad ovest di Tripoli, è in mano ai ribelli, ma Gheddafi l'ha circondata. Nell'intervista esclusiva a Il Giornale l'aveva presa come esempio della tattica dell'assedio per costringere i rivoltosi alla resa, o a fuggire via mare.

I ribelli sono in ritirata e la comunità internazionale pure. Nel vertice dei ministri degli Esteri del G8 riuniti a Parigi, il veto russo-tedesco ha bocciato definitivamente la zona di non sorvolo sulla Libia. Ora tocca al Consiglio di sicurezza dell'Onu, ma come ha osservato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, «i carri armati si muovono più velocemente».

Per cercare di resistere i ribelli di Zuara e Al Zawiya, ad ovest di Tripoli, si facevano rifornire dalla Tunisia con imbarcazioni cariche di provviste e medicinali. Le stesse usate per trasportare i migranti a Lampedusa. Zuara era una delle basi di partenza dei clandestini verso l'Italia. Poi i rifornimenti proseguivano sul dorso dei dromedari seguendo le piste nel deserto dei contrabbandieri di carburante.
Dal poroso confine con la Tunisia sono passati anche volontari del Gruppo combattente islamico libico. Salah Mohammed Abu Oba, arrestato quando i governativi hanno riconquistato Al Zawiya, è uno dei membri della fazione armata affiliata ad Al Qaida, che organizzava la logistica. «Ho aderito al Gruppo islamico nel 1997 nello Yemen. Poi sono andato in Inghilterra chiedendo asilo politico» racconta il presunto terrorista, che abbiamo incontrato nella centrale di interrogatorio della polizia a Tripoli.

Nel 2010 rientra in Libia grazie all'amnistia voluta da Seif el Islam, figlio di Gheddafi. Quando scoppia la rivolta fa «arrivare medicine e cibo» ai rivoltosi di Al Zawiya. Non solo: «Aiutavo i combattenti, che arrivavano dall'Inghilterra, a raggiungere la Libia attraverso la Tunisia». Per oltre dieci anni il presunto terrorista ha vissuto a Manchester dove «conoscevo almeno una trentina di membri del Gruppo islamico».

Salah, che ha pure la cittadinanza britannica, raccoglieva fondi per la causa nelle moschee o grazie alle organizzazioni caritatevoli musulmane. Almeno quattro combattenti provenienti da Manchester, che ha infiltrato, sarebbero ancora con le armi in pugno a Nalut, una città nella Libia sud occidentale.
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