La caduta dell’intoccabile «svezzato» da Bankitalia

C’è stato un periodo in cui nel sistema finanziario italiano, i «giganti» erano quasi intoccabili. Pur ormai in rottura con ambienti rilevanti del capitalismo italiano, nessuno osò contestare la guida di Enrico Cuccia fino alla morte. Gli uomini di Bankitalia come Carlo Azeglio Ciampi, forse non il più dinamico dei governatori, «uscivano» circondati dagli onori. Anche quelli un po’ contestati come Lamberto Dini erano opportunamente considerati riserve della Repubblica. Intanto, però, la «buona» apertura dei mercati e la brutta stagione post ’92, introduceva sistemi di governance più brutali. Vincenzo Maranghi, l’erede di Cuccia, veniva «dimesso». Antonio Fazio «fatto fuori» coi metodi giudiziari dell’Italia di oggi. La star Alessandro Profumo pagava la non brillantissima gestione di Unicredit e la scarsa sintonia con parte dei soci.
Oggi un trattamento sbrigativo è riservato a un uomo della finanza dalla particolare statura di sistema, Cesare Geronzi. Banchiere «di potere» si scrive in qualche resa dei conti come se esistessero uomini delle grandi istituzioni di credito privi di visione di potere, come se l’esempio che qualche allegro detrattore di Geronzi gli contrappone, Giovanni Bazoli, fosse disattento al controllo dei principali media nazionali e indifferente al potere politico.
Geronzi è stato integralmente un «grande banchiere» dunque un uomo di potere, considerato un interlocutore di peso di uomo centrale dell’Italia come Giulio Andreotti, politico che segna diverse stagioni della nostra Repubblica, compresa quella co-gestita con Enrico Berlinguer dal 1976 al 1979.
Uomo di potere, ma anche di rilevante profilo tecnico e istituzionale che avvia la sua carriera in via Nazionale sotto l’affettuosa attenzione di uno dei più importanti governatori di Bankitalia (nonché della scena economico-finanziaria italiana), Guido Carli. La sua carriera prosegue sotto l’ala di un’altra figura di qualità della squadra bankitaliana, Rinaldo Ossola. E da qui arriva nel 1982 a dirigere la piccola Cassa di Risparmio di Roma, 140 sportelli, presente in 3 delle 4 province del Lazio che trasforma man mano nel Gruppo Bancario Capitalia, mettendo insieme realtà spesso minori (Banco di Santo Spirito, Banco di Roma, Banca dell’Agricoltura, Banca Mediterranea, Banco di Sicilia, Mediocredito Centrale, Bipop-Carire). Sono note le critiche sull’eccesso di ricerca del consenso politico da parte di Geronzi, con tutto l’arco politico, e le considerazioni su quanto questa ricerca di consenso abbia in parte pesato sui conti della stessa Capitalia. Chi però esamina la realtà industriale cresciuta a Roma e dintorni, non può non riflettere quanto abbia contato avere nel centro della sua economia un banchiere con una visione di sistema.
Personalmente nel 2005 ho scritto un libro, «Guerra per banche», in cui sostenevo le ragioni di Giulio Tremonti nel volere modificare radicalmente il sistema delle Fondazioni bancarie, in cui mostravo tutto il mio apprezzamento per un Maranghi che voleva costruire una nuova Mediobanca che superasse gli antichi consociativismi. Pur, quindi, criticando in questo senso le posizioni di Geronzi, Bazoli, Fazio, in parte non piccola orientate a difendere la Fiat «protetta» dei Paolo Fresco e dei Luca Cordero di Montezemolo, anche in quel libro «critico» mi ponevo il problema di un’Italia senza più personalità di grande rilevanza, capaci di pensare anche agli equilibri di sistema.
Uno obiettivo che mi è parso di cogliere nell’ultimo Geronzi presidente di Mediobanca e poi di Generali. É evidente che ogni condottiero oltre che sulle sue abilità, poggia sulla forza delle proprie truppe e che le rivolte nordafricane, i rapporti più tesi con la Francia e i travagli del sistema ligrestiano hanno seriamente indebolito alcune basi dell’influenza geronziana. Che come tutte le esperienze umane può naturalmente essere criticata. Spero che chi ha deciso di chiudere bruscamente una certa fase, abbia un’idea di quale fase si possa aprire, di quale equilibrio si possa definire nel medio periodo. Se sarà più aperto di quello garantito nell’ultima stagione innanzitutto dall’asse Bazoli-Geronzi, bene.

Ma se non ci sarà o se sarà fragile, se invece che respingere l’eccesso d’influenza «francese» al nostro sistema industrial-finanziario, lo si aprirà anche a sistemi pure meno articolati (vedi Praga e dintorni), forse ci toccherà rimpiangere la frettolosa uscita di Geronzi dalla presidenza delle Generali.

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