Roma

Cajkovskij e Borodin: è festa russa

La grande musica di Cajkovskij e Borodin sopravviverà di certo a una defezione non da poco come quella di Yuri Temirkanov. Il 70enne maestro russo sta male ed è costretto a dare forfeit. Un peccato al quale l’orchestra ceciliana dovrà rimediare con una serata delle sue. Tuttavia il sostituito è un certo Gennadi Rozhdestevnsky, classe 1930, specialista del repertorio russo, soprattutto contemporaneo (sublimi le sue interpretazioni di Prokofiev per le etichette Chandos ed Emi). Il concerto inizia sabato alle 18 con repliche lunedì 26 e martedì 27. Si parte con la lugubre, maestosa passione contenuta nella Sesta sinfonia detta «Patetica» di Cajkovskij. Nella Russia di fine ’800 la vita di un omosessuale, anche illustre e riverito, doveva essere piuttosto complicata. Per Cajkovskij la musica era l’unica consolazione alla propria tragedia personale, e usò sinfonie, balletti e concerti per urlare al mondo l’infelicità. Così nella Sinfonia 6 riversò il dolore in quantità industriali, il rimpianto per aver dovuto rinunciare per sempre a una vita «felice». Impossibile non commuoversi con le ultime battute del conclusivo Adagio lamentoso, premonizione di morte (Cajkovskij morirà 9 giorni dopo la prima, nel 1893). Ancora oggi nessuno è riuscito, a livello discografico, ad eseguirlo meglio del Sinopoli con la Philarmonia (Dg, 1990, pugno di ferro in guanto di velluto.
Nella seconda parte Rozhdestvensky allestirà, assieme all’Orchestra e al Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, il grande affresco storico della Russia del «Principe Igor» di Borodin, dal quale ascolteremo l’Ouverture e le celeberrime Danze Polovesiane, un tormentone che negli anni Settanta, venne usato a sproposito per sigle, balletti e stacchetti vari.

Ora è (per fortuna) dimenticato.

Commenti