Cala il sipario sul giudice col chiodo fisso del potere

Cade un'altra "stella rossa": indagò tutti i grandi del mondo. Tanta pubblicità per lui ma poche condanne

Cala il sipario sul giudice col chiodo fisso del potere

Chissà cosa pensa il giudice Ja­vier Gomez de Liano, ora che la carriera del suo vecchio anta­go­nista Balthasar Garzón è fi­nita così male: cacciato dal­l­a magistratura senza ritor­no. Un tempo i due sgomi­tavano per un posto fisso sotto i riflettori. Una guer­ra di nervi, vinta a colpi di mosse abili, astute. Gar­zón si rivelò subito più bravo. Metodico, co­stante, puntuale. La Spagna aveva posto solo per un protago­nista e, quella vol­ta, la partita la vin­se lui. Sono passati ol­trevent’anni. Gar­zón ha fatto car­riera. L’inizio fu l’Eta.

Erano i pri­mi anni Novan­ta. Arrestare ter­roristi e indaga­re sui partiti del­la sinistra basca era già roba gros­sa. Ma non suffi­ciente da poter soddisfare le sue ambizio­ni. Ci vole­va qual­co­sadiinter­nazionale, sen­sazionale. Il colpo gros­so arriva nel 1998 quando ordina l’arresto a Londra dell’ex-dit­tatore cileno Augusto Pinochet. È così che si mise in luce. Una volta per tutte. Spiccare un mandato di cattura internazionale per l’allora moribondo generale gli valse la me­daglia d’oro. Il mondo sapeva di lui. La cosa, naturalmente, finì in una bolla di sapone, come molte delle al­tre inchieste di Garzón, nate per de­flagrare sui giornali e in televisione, accompagnate dalla sua faccia e dal suo nome scritto in grande. General­mente, vale più l’annuncio che l’in­­chiesta stessa. Il seguito, il come va a finire, si perde in un fil di fumo con­fuso e annebbiato. Con Pinochet fu solo l’inizio. Sotto processo finiro­no anche i generali argentini, l’ex se­gretario di Stato Henry Kissinger per il ruolo da lui svolto nell’instau­razione di certe dittature in Ameri­ca latina negli anni Settanta, in quel­la che passò alla storia come «Opera­zione Condor».

L’elenco si estende toccando praticamente tutti i Paesi del mondo. Tra le sue bestie nere an­che Berlusconi e Bush per i musul­mani carcerati a Guantanamo. E spicca anche un mandato di cattura contro Osama bin Laden. Sempre nulla di fatto. Eppure nel frattempo era diventato una star di prima gran­dezza, un’icona della sinistra: mega­lòmano in spagnolo. Sposato, con tre figli, il giudice­stella è appassionato di sport estre­mi e roso da sempre da una deva­stante ambizione. Non si ferma nep­p­ure davanti ai suoi colleghi del mi­nistero degli Interni. Ha tentato di impallinare con 10 anni l’ex mini­stro Barrionuevo che però nel 2002 viene assolto dall’accusa di aver ru­bato fondi statali. Famoso, famosis­simo, il più scortato tra i giudici,tan­to che anche l’Eta­per fargli la pelle­p­ensò addirittura di ricorrere al vele­no. Era tutto pronto, poi il piano an­dò a monte. Una bottiglia di liquore all’arsenico da recapitare con tanto di complimenti per il lavoro.Punta­vano sull’adulazione i terroristi, co­noscendo bene il soggetto con un debole per i complimenti.

A un cer­to punto ha anche uno scambio di missive di fuoco con il subcoman­d­ante Marcos che gli dà del pagliac­cio, invitandolo a stare a casa sua, a non portare i riflettori nel Chapas. Dà la caccia anche alla mafia turca. Sono sempre stati divisi gli spa­gnoli su Garzón. Analizzato e bersa­gliato. Eroe o giustiziere? «Una tigre di carta», così il giornalista Mariano Sanchez Soler, lo definisce nel suo li­bro. Il 49 per cento degli imputati portati alla sbarra- spiega Soler- è fi­nito assolto. Libero uno su due. Tut­tavia la popolarità di Garzón non è fi­nita dimezzata come le sue inchie­ste: dal 1988 al 2005, su El Mundo e El Pais, ci sono oltre 39mila citazio­ni su­di lui con una presenza nei tele­giornali che dal 1993 è stata sempre in salita. Poi, due anni fa era stato so­speso in forma cautelare dalla cari­ca di giudice della Audiencia Nacio­nal di Madrid. Con la sentenza di ieri, la sua cor­sa è finita. A 56 anni, Garzón può ap­pendere la toga e dire addio alle sue inchieste planetarie. E il finale non concede nemmeno l’onore delle ar­mi. Cade, e cade nella polvere. Lo at­tendono altre due sentenze ad alto rischio.

Nelle ultime due settimane è stato processato anche per l’in­chiesta sugli scomparsi del franchi­smo, in violazione della legge di am­nistia. A breve sarà giudicato per presunta corruzione. Garzón esce di scena e con lui fi­nisce un’epoca. Zapatero, con la sua voglia di sovvertire, di sfidare le convenzioni, aveva trovato nel giudice mediatico un perfetto ca­vallo di Troia.

Era di Zapatero l’idea di riaprire il processo al fran­chismo. Il giudice l’aveva appog­giata con grande entusiasmo. Era­no partite le polemiche, il premier gli aveva coperto le spalle. Oggi tut­to è diverso. Zapatero è lontano. Garzón è solo.

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