Giampiero Ventura gioca con se stesso. Quattro difensori, due mediani, due ali, due attaccanti. «Faccia lei il modulo: 4-4-2, o 4-2-4, per me è uguale». I numeri non sono un problema. Le parole un po’ di più: «Bisogna saperle usare, perché chi le usa male, finisce per essere un presuntuoso. E io non ho mai visto un presuntuoso vincente». Vuole vincere quanto basta Ventura, arrivato a Bari per un incrocio fortunato e diventato un caso da studiare: nono in A, con la difesa che ha preso meno gol d’Italia e d’Europa, con i complimenti, con il lusso di giocarsela ovunque.
Cominciamo con un gioco?
«Prego».
Palermo-Bari (gol del Palermo al 92’), Bari-Catania (palo a porta vuota del Bari), Sampdoria-Bari (gol regolare del Bari annullato al 92’): tre pareggi, avete sei punti in meno.
«Vuol dire che saremmo a 24».
Non sarebbero troppi?
«Non voglio essere frainteso, ma dico di no. Perché sarebbero stati tutti meritati. Eh sì, ne abbiamo 18 e ne dovremmo avere 24. Quanti ne ha l’Inter?».
Ventinove. La Juventus è seconda con 24...
«Ecco. Sarebbe stato giusto per le prestazioni, ma sconvolgente psicologicamente».
Prego?
«Avrebbe sconvolto l’equilibrio di una città e di una società che sono appena tornate in serie A».
Che cosa pensa oggi di quando dicevano che il Bari partiva già con mezzo piede in B?
«Ricordo che prima dell’esordio in campionato con l’Inter c’era una specie di totogol: si faceva solo il conto di quanti ne avremmo presi. Oggi, invece, c’è rispetto per il lavoro di questa squadra».
Dicono che abbia la miglior difesa d’Europa.
«L’ho letto anch’io. È da due giorni che rispondo a domande solo su questo. Parlano tutti dei nostri ragazzi: Ranocchia, Bonucci, Masiello, Donati. Ora sta a loro capire che si trovano davanti a un bivio: da una parte c’è “sono contento di quello che ho fatto”, dall’altra c’è “la strada giusta per diventare un campione”».
Ranocchia e Bonucci fanno 43 anni in due. Si legge che il Genoa voglia riprenderseli. Ha paura di perderli a gennaio?
«No. Non credo. Ci sono delle richieste, ma tutti questi giocatori sanno che fanno parte di un giocattolo importante che potrebbe diventare importantissimo per il loro futuro. È un nostro diritto tenerli fino a giugno e credo che resteranno».
Allena i giovani, ma a 61 anni è il tecnico più anziano della serie A. La infastidisce un po’?
«Io non ci penso mai, ma fanno di tutto per ricordarmelo ogni volta. Non c’è giornale che accanto alla mia foto non scriva “il nonno del campionato”: è di una scorrettezza mostruosa, comincerò ad avvertire il mio avvocato, anche perché avendo questo fisico incredibile, è un peccato far sapere a tutti che sono il più vecchio della A».
Ha detto «alleno per libidine» ed è scoppiato il caos...
«C’hanno marciato: mi hanno pure preso per maniaco sessuale. È una frase che m’è venuta dal cuore: nessuno mi gratificava per quello che avevo fatto. Volevo solo dire che mi sento felice quando un giocatore mi ferma a fine partita e mi dice: “Mister oggi mi sono divertito” oppure “Peccato che sia finita perché mi stavo divertendo”. Questa è la vera libidine».
Anche lei ha avuto il suo bivio: stava per allenare la Triestina che avrebbe fatto un tranquillo campionato di B e invece si trova nono in serie A. A questo ci pensa?
«Sì e mi fa arrabbiare molto».
Perché?
«Se Conte non fosse andato via da Bari sarei rimasto in B e questo mi fa arrabbiare perché se non ti capitano queste cose, finisce che nessuno parla di te. Se non sei in A, sembra che non esisti e se sbagli paghi subito. E sono pochissimi quelli che non hanno commesso errori».
E il suo qual è stato?
«L’ho fatto quando ho pensato con il cuore e non con la testa».
Genova. La Sampdoria...
«Sì. Avevo mezza serie A che mi cercava in quel momento».
Chi?
«C’erano stati contatti con quelle che vengono definite grandi. Avevo ogni tipo di possibilità, ma scelsi la Samp. Quando presi l’accordo non avrei mai immaginato che retrocedesse con Spalletti. Mi sono ritrovato da allenatore più cercato della A a mister della Sampdoria in B».
Però era la sua squadra...
«Sì, ma quella scelta ha frantumato la mia carriera».
E questa stagione è una rivincita?
«Forse sì. Ma mi sento più disincantato rispetto ad altri miei colleghi. Non cerco le polemiche, provo a starne lontano. Perché magari ti fanno diventare personaggio, ma non ti fanno vincere».
E lei s’è mai sentito personaggio?
«No. Però questa parola mi fa venire in mente una cosa che si collega agli errori della vita. Quando mi cercavano tutti non ho dato peso al fatto che è più importante apparire che essere. L’apparire è fondamentale».
Perché non appariva?
«Pensavo che dovessi solo lavorare. Mi invitavano in tv e non andavo. Non frequentavo il salotto del pallone e questo è stato un errore. Non lo dico polemicamente, è stata colpa mia. Pensavo solo a far frullare la palla, ma sbagliavo. Perché è importante, ma poi ci vuole qualcuno che lo dica».
Allora non è vero che le parole non contano?
«Contano, anche se durano poco. Contano se c’è tutto il resto: il lavoro, i risultati, le prestazioni, la serietà, la correttezza, l’entusiasmo, la voglia».
E quanto conta invece divertirsi?
«Ah, per me tantissimo. Diciamo all’80-90%. Se non mi diverto non riesco a fare questo lavoro. Io vivo di sensazioni, di emozioni e se le provo le so trasmettere. È una delle cose che so fare».
Ma si diverte anche quando è in panchina?
«Sì. Perché quando la squadra lavora e gioca usando le conoscenze non c’è da fare molto altro. Comunque mi divertivo da matto a vedere le partite del Barcellona di Cruyff. Era divertente anche la Roma di Spalletti, il Genoa di Gasperini dell’anno scorso. C’è qualcuno che diverte, ma non sono in tanti».
Sacchi no?
«Lui è una pagina di storia. Tutti parlavano di come giocava. Ma per me non conta quello, il suo grande merito è quello di aver fatto giocare i campioni in quel modo. Il 90% delle squadre che hanno campioni non giocano bene. Chi riesce a fare un grande calcio organizzato con i campioni domina il mondo».
Se qualcuno riuscisse a far giocare bene il Real sarebbe un mago?
«No, non un mago. Sarebbe un allenatore che ha scritto un’altra pagina di storia. Anche l’Inter è formata da grandissimi giocatori e vince. Vince perché Mourinho è bravo nella gestione dei calciatori e ha grandi calciatori. Però l’Inter non domina il mondo».
C’è un allenatore che lei considerava bravissimo e che è stato sottovalutato?
«Sì che c’è».
E chi è?
«Ventura... Sto scherzando. No, sinceramente non lo so. Sicuramente ci sono, ma chiunque potrebbe dire di essersi sentito sottovalutato. Io dico sempre che gli allenatori si dividono in due categorie: quelli che hanno delle idee e quelli che non le hanno».
L’idea di Ventura qual
è?«Solo divertendosi si può divertire».
Facile. Come si fa?
«L’abbiamo fatto: venti-venticinque passaggi di fila senza far toccare il pallone all’avversario e fare gol. L’azione perfetta».
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