Calcio a tutte le ore, ma scotta solo a mezzogiorno

Ci vuole un genio per fissare l’orario di inizio di una partita di football a mezzogiorno e mezzo, nel sud d’Italia, quando l’estate non è ancora finita, lo scirocco è un’aria malsana, umidiccia che si appiccica al corpo a alla testa. Ci vuole un genio per fissare l’orario di inizio di una partita di football alle venti e quarantacinque, nel nord d’Italia, quando l’inverno freddo e nebbioso sarà nel suo pieno. Ci vuole un genio per non capire queste cose infantili, con alcuni mesi di anticipo, senza nemmeno consultare Giuliacci, il colonnello delle informazioni meteorologiche. Basta umettare il dito indice e sentire il vento da che parte tira.
Ci vuole un genio, però, anche per lamentarsi del caldo di mezzogiorno, quando poi si scopre che giocando alle 15 poteva andare anche peggio: domenica a Bari, ad esempio, a parità di temperatura sarebbe aumentata pesantemente l’umidità. E quindi il caldo percepito.
Dicono che il calcio a mezzogiorno serva per vendere il prodotto al mercato orientale: Cina e Giappone, secondo fuso orario, avrebbero queste esigenze per il loro prime time. Gli orientali però vorrebbero anche buon calcio, club di nome e di fascino, non certo i primi due appuntamenti messi in calendario, Brescia-Palermo o Bari-Cagliari, con tutto il rispetto per le quattro squadre e le loro tifoserie, calde come il clima di questo settembre. Se dobbiamo esportare il nostro prodotto scegliamo almeno i pezzi migliori.
La federcalcio spagnola ha ricevuto uguale richiesta per il girone di ritorno (quando il tempo sarà più fresco) ma cinesi e giapponesi esigono che a quell’ora scendano in campo o il Real Madrid o il Barcellona, il resto non interessa, non farebbe ascolti. Nella seconda divisione spagnola la partita principale viene giocata all’ora della “comida”, l’esperimento serve a rilanciare il calcio di seconda fila e non per altri interessi mercantili.
Lo “spezzatino” del nostro calendario invece è voluto e imposto dalle compagnie televisive: queste pagano una cifra ultramilionaria che serve a dare ossigeno alle casse esauste dei club. Dunque da una parte l’esigenza di sopravvivere, dall’altra una coesistenza difficile, complicata, che crea disturbo anche tra i tifosi oltre che tra gli atleti e gli allenatori costretti a rivedere piani di allenamento e abitudini alimentari, da una settimana all’altra, con lo spaghetto al posto del cappuccino (per i ciclisti è un menù normale per una disciplina completamente diversa, nella fatica e negli orari).
Il problema è vecchio, viene discusso da tutti tranne che da coloro che poi devono affrontare la canicola, la nebbia o la neve. Sul tavolo delle rivendicazioni sindacali dei calciatori non è previsto questo punto di dibattito che andrebbe a tutela della loro professione e della loro salute. L’esperienza allucinante del mondiale negli Stati Uniti (come quelli messicani del ’70 e dell’86), con la finale tra Italia e Brasile giocata ai 40 gradi del mezzogiorno di Pasadena, non è servita a nulla se non agli sponsor e alle televisioni. Il calcio non può tornare indietro, i suoi costi enormi hanno bisogno di entrate altrettanto pesanti, il calendario diviso dal sabato al lunedì ne tradisce lo spirito di “uguaglianza” già violato da una distribuzione diversa delle entrate e, quindi, da un differente potere di mercato.

Ma le esigenze economiche non possono arrivare a mettere in pericolo la salute dei calciatori, giocando sempre e comunque, a qualsiasi ora, magari anche al risveglio. La grande abbuffata può provocare crisi di rigetto. Il problema non è l’orario, ma la qualità del gioco, diurno o notturno.

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