
Sarebbe come se Adriano Celentano spiegasse a Mick Jagger come muoversi sul palcoscenico. Carlo Ancelotti va a Rio de Janeiro ad insegnare football ai brasiliani, è lui l’allenatore della nazionale per cinque volte campione del mondo. È l’orgoglio massimo per la scuola calcistica italiana, Real Madrid e Seleçao, che vuoi di più dalla vita? Il bambino di Reggiolo non ha voglia di smettere, ama la leggerezza del calcio e, forse, questo lo avvicina ai brasiliani, musica e sole, balli e futebol, Pelé e poi tutto il resto di una favola mondiale. Carlo lascia l’Europa nella quale tutto ha vinto, da calciatore e allenatore, non ha scie tossiche, non ha mai segnato la sua carriera con polemiche aspre, ha provocato invidie tra i quaquaraquà che occupano siti e fogli e radio e tivvù, mai ha reagito, semmai ha risposto con i fatti e l’assoluta normalità delle sue vittorie mille, dovunque e comunque. Il Brasile vuole tornare a vincere, ha il fegato avvelenato dal titolo mondiale vinto in Qatar dai nemici argentini, non riesce a cancellare la vergogna dell’1 a 7 contro la Germania nel mondiale del 2014, è quarto nella classifica per le qualificazioni al prossimo torneo Fifa in usa, Canada e Messico, ancora distaccato di 10 punti dalla capolista Argentina, ha la peggiore difesa, Ancelotti deve riacciuffare il podio e la storia, il 6 giugno contro l’Ecuador, il 10 contro il Paraguay, avversari che un tempo si facevano da parte per inchinarsi al passaggio dei pentacampeones e che oggi, invece, possono aumentare gli incubi.
Carlo ha respinto la tentazione di tornare ad allenare in Italia, Roma e Milan, una fetta grande della sua carriera, ha preferito andare altrove, dopo il Real non può esserci che il Brasile e dopo il Brasile il titolo mondiale. Sognare non costa nulla, a sessantasei anni la vita è bella e incomincia un’altra partita.
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