Platini: "Sono più vecchio del Papa. Vivo come in campo, sempre con passione"

I 70 anni di un'icona: "La mia vita si spiega così: zero schiaffi per i vetri rotti col pallone"

Platini: "Sono più vecchio del Papa. Vivo come in campo, sempre con passione"

Il ventuno di giugno è un giorno di nascita di francesi illustri. Françoise Sagan per dire e il suo Bonjour tristesse o Jean Paul Sartre e il suo L'età della ragione o ancora Jacques Goddet, giornalista e fondatore de l'Equipe. Oggi è il giorno di Michel Platini.

Prima o poi sarebbero arrivati, settant'anni.

«Non ho mai pensato all'età, trenta, quaranta, cinquant'anni. Ma stavolta sì e per un motivo».

Quale?

«Che il papa Leone XIV è più giovane di me e questo significa che incomincio ad invecchiare».

La vecchiaia è una condizione particolare.

«Il fatto fondamentale della mia vita è che ho sempre avuto passione, me l'ha insegnata mia madre che veniva da una famiglia numerosa, dunque conosceva la vita, i sacrifici ma soprattutto l'entusiasmo, la voglia di andare avanti ogni giorno».

Passione per il calcio.

«Passione per divertirmi con il pallone, con i miei compagni di scuola e di strada. La stessa passione che mi sono portato appresso da calciatore, divertirmi e divertire».

Le origini sono importanti.

«Una famiglia di oriundi italiani, dunque il calcio era presente sempre e molto di più che tra i francesi. Credo nel destino, volevo giocare e ho giocato, sono stato tra i migliori, ho avuto una vita bella, se non ci fossero state quelle basi non avrei ottenuto quello che poi il calcio mi ha dato e quello di cui sto parlando in queste ore».

Quanto è stata importante la famiglia?

«Fondamentale, se mia madre mi avesse preso a schiaffi perché avevo rotto i vetri di una finestra con un calcio al pallone, se mi avessero impedito di giocare divertendomi avrei fatto poche cose nella vita e non so nemmeno quali. Il mio bicchiere è stato sempre pieno, i valori ricevuti dai miei genitori mi hanno portato a non rimpiangere mai niente e ad avere una grande sensibilità. E poi io credo nel destino».

Il passaggio dalla Francia all'Italia.

«Era arrivata l'ora, potevo andare in Inghilterra, in Spagna, in Germania, scelsi l'Italia per un richiamo alle origini, non conoscevo nulla della Juventus ma venni spinto dall'orgoglio e dal pensiero di andare nel Paese dei parenti miei e di mia

moglie».

Cinque anni grandiosi.

«Mi ricordo la frase di quando conclusi la mia carriera a Torino: Ho fatto cinque anni di ferie in Italia giocando a pallone e sono stato anche pagato bene».

Un francese con la puzza al naso.

«Noi francesi non abbiamo dentro il fuoco del calcio come voi italiani o Diego o i brasiliani, venivo da una terra comoda e non mi sono mai montato la testa».

C'è un personaggio decisivo in questo viaggio dall'infanzia all'adolescenza, alla maturità?

«Jacques Lambert (consulente politico di vari ministri, organizzatore dei grandi eventi sportivi internazionali,dai Giochi invernali ai mondiali del '98, ndr). Con lui andrei sulla luna».

Platini, la gloria, la fama.

«Io non sono un solitario, ho sempre cercato e voluto fare le cose da solo, ho capito che per essere migliore degli altri devi giocare sempre contro, sfidare te stesso e chi ti sta di fronte, con lealtà e con rispetto. Non vado al festival di Cannes, non mi vedete in altre manifestazioni glamour, non sono bling-bling, l'esibizione non mi ha mai interessato».

Rapporti non facili con la stampa.

«Sono stato peggiore che migliore, non generalizzo ma fino a quando sono stato utile la considerazione e il rispetto non sono mancati, appena in difficoltà sono stato criticato, insultato e linciato. Non avevano più bisogno di me».

Colpa del carattere.

«Ho commesso l'errore di concedere troppa fiducia a molti, a tutti, sono aperto e questo mi è costato».

C'entra la questione della Fifa.

«Colpa mia, dovevo sapere e capire che non giocavano nella mia stessa squadra. Mi hanno voluto cacciare e lo hanno fatto inventando tutto, ho esibito le fatture dei pagamenti ma loro hanno voluto buttarmi via. Mai stato turbato per questo, con la coscienza a posto perché avrei dovuto?».

Rimpianti?

«Nessuno, ho avuto tutto quello che potevo sognare, calciatore, allenatore, presidente del mondiale tutto è venuto per destino, la presidenza dell'Uefa quella no, l'ho voluta e ottenuta».

Nostalgia?

«No, non sono blasé, annoiato, indifferente, vivo e non sopravvivo, voglio provare ancora le emozioni, da quando ho lasciato la Svizzera e Parigi ed ho scelto Cassis come dimora definitiva, ho riscoperto l'affetto e l'amore della gente comune, per loro sono un amico, un campione. Incredibile».

La fede, la religione?

«Sono credente ma non

ho mai pregato prima di andare in campo. E sapete perché?».

Perché?

«Se avessi pregato e avessero pregato anche i miei avversari sarei stato nella merda!».

Una squadra rimasta un sogno?

«Il Metz ma mi respinsero al provino (per insufficienza respiratoria)».

Gli Agnelli?

«Non sento nessuno. Ogni tanto incontro un membro della famiglia per qualche evento di beneficenza».

Il terzo pallone d'oro è però a casa Agnelli.

«Credo sia al Museo della Juventus. Lo regalai all'Avvocato il giorno dei suoi 70 anni, mi invitò da Maxim a Parigi. Ero l'unico calciatore tra i presenti. Scrissi un biglietto: questa è una cosa che Lei non potrà mai avere!».

Il calcio oggi.

«In mano ai fondi, alla speculazione, non ci sono più Lagardère, Berlusconi, Agnelli, i soldi c'erano anche prima ma si trattava di uomini che amavano questo sport, lo vivevano anche soffrendo e divertendosi. Oggi è finanza e basta».

Il gioco?

«Il Paris St Germain gioca un football interessante perché ha centrocampisti di grande qualità ma la libertà tecnica di Zico e Diego, Di Stefano e Cruyff è stata imprigionata dagli schemi. I grandi vengono spostati sulle fasce, Neymar e Zidane, Raphina e Yamal. Oggi il gioco è in mano a chi ha deciso il Var e le altre cagate, i calciatori e gli allenatori non contano nulla».

Contano gli arbitri?

«Loro dipendono esclusivamente dalle tecnologie, non fanno più parte del gioco».

Il o i gol più belli?

«I miei figli, Laurent e Marine. E mia moglie di cui non parlo perché lei non vuole e se lo faccio si arrabbia».

Oggi grandi festeggiamenti.

«In famiglia, in un ristorante stellato».

Piatto preferito?

«Gnocchi e spaghetti al pomodoro».

Vino?

«Mmmh, un buon vino o un gran vino lo puoi trovare e bere in tutto il mondo. Gnocchi e spaghetti al pomodoro no e voi lo sapete bene».

Prossimo appuntamento per gli 80 anni.

«Avec plaisir».

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