La rivolta del "ceto medio" del pallone

Nella geografia dei "primi della classe" il povero Mezzogiorno resta sempre seduto all'ultimo banco

La rivolta del "ceto medio" del pallone
00:00 00:00

Nel mondo del pallone ci eravamo abituati al dominio del Nord-Ovest. Nel mitico «triangolo industriale» quello esaltano negli anni del miracolo economico - risiedono infatti 36 scudetti della sola Juventus e 39 (sommati) delle due milanesi, che si aggiungono ai 9 del Genoa e ai 7 della Pro Vercelli (in entrambi i casi ottenuti agli albori del campionato). Se poi ci mettiamo i 7 del Torino e gli exploit isolati di Novese e Casale, all'inizio del secolo scorso, e della Sampdoria di Mancini e Vialli, più recentemente, arriviamo a coprire l'83% dei titoli assegnati.

Viceversa, nella geografia dei «primi della classe» - come per altre vicende - il povero Mezzogiorno resta sempre seduto all'ultimo banco. È vero che le Isole si sono fatte timidamente sentire, oltre mezzo secolo fa, col Cagliari di Gigi Riva e che in seguito anche il Sud - con un po' più di insistenza e convinzione sospinta dal Maradona degli anni '80 - s'è affacciato al vertice, ma è solo nell'ultimo triennio che lo stesso Napoli di Maradona (stadio) ha confermato la vocazione al successo con le sue due entusiasmanti performance.

E le prestigiose dominatrici nordiche? Tolto il Genoa e il Torino, per le quali i fasti del passato hanno ormai lasciato il campo alla dura lotta per la sopravvivenza, nel volto finale delle due milanesi non si sa se leggere più la sofferenza di chi è stato bloccato a metà classifica per la poca sostanza (Milan), o il dramma di chi ha visto il crollo di un'illusione ed è ancora a domandarsi dove e con chi poteva fare di meglio (Inter). Quanto poi alla «Vecchia Signora», sembra ancora persa nei ricordi; frastornata dall'eco di una lunga stagione di successi unici e irripetibili. Mentre i tradizionali vincitori segnano dunque il passo, sono i meno titolati ma non privi di risorse - per l'appunto il ceto medio del calcio italiano che vanno alla riscossa. Ed allora la concentrazione di trofei nel ristretto novero dei soliti vincitori si affievolisce.

Se per curiosità calcolassimo, con i dati ricavati dall'albo d'oro del campionato italiano, l'indice di concentrazione del Gini quello con cui gli economisti affrontano, con finalità ben più serie, le dinamiche nella distribuzione del reddito o della ricchezza (l'indice vale 0 se siamo tutti alla pari mentre vale 100 nel caso opposto) il valore ottenuto dalla distribuzione di frequenza degli scudetti assegnati sino a tre anni fa sarebbe pari a 69,8. Misura oggettiva del ben noto dominio dei pochi. Tuttavia se dovessimo fare lo stesso calcolo con i dati aggiornanti a tutt'oggi il valore dell'indice di Gini segnerebbe una moderata (ma interessante) riduzione, scendendo a 69,2.

Ci si sta lentamente muovendo verso un maggiore equilibrio? È possibile immaginare che altri club, oggi nel ceto medio dell'Albo d'oro, potranno accreditarsi come concorrenti delle attuali storiche tre grandi? Per gli amanti del calcio questo sarebbe un cambiamento in meglio, tifo a parte, in quanto li porterebbe a vivere le vicende del campionato in modo più emozionante, uscendo dalla tipica monotonia prodotta dall'alternanza tra i soliti noti.

La metafora del calcio vale per altro a ricordarci ed è utile oggi più che mai - che anche chi sta a metà strada, benché apparentemente meno portato ad emergere può arrivare al successo.

Impegno e volontà sono gli ingredienti con cui, meglio se aiutati dal contesto (e magari da un po' di fortuna), si può riuscire a raggiungere la propria meta. Questo vale nel prendere a calci un pallone, così come nell'affrontare (per vincere) le battaglie della vita di ogni giorno.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica