Taremi e compagni, perché il Porto può insidiare l’Inter

La squadra di Sergio Conceicao viene da una lunga striscia di vittorie consecutive in campionato, ha un bomber a trascinarla e un impianto di gioco collaudato

Taremi e compagni, perché il Porto può insidiare l’Inter

Da circa sei anni il Porto è un’entità che si riconosce in un credo stabile. Una liturgia laica recitata a manovella da un gruppo che sboccia, si sfoglia e si rinnova ritmicamente, senza mai smarrire la bussola della qualità. Sfumano in dissolvenza i tempi in cui Sergio Conceicao era l'inafferrabile esterno di una Lazio monumentale. Ritmo, propensione offensiva e sostanza. Segni particolari che è riuscito a inculcare anche da quella panchina, su cui siede dal 2017. In patria c’è l’eterna disfida con il Benfica. Nel continente, invece, il club frequenta abitualmente i salotti più nobili. Intensità di gruppo abbinata a idee quasi mai appannate. Un fervore calcistico che esalta le peculiarità dei singoli, dal bomber Taremi in giù. Per l’Inter, avversaria nel prossimo snodo Champions, sarà tutt’altro che una passeggiata.

Porto, la chiave tattica

Dopo un prolungato e intransigente periodo a base di 4-3-3, Conceicao ha deciso che l’assetto poteva anche modularsi in varianti solo apparentemente meno bellicose – come il 4-4-2 – o in intuizioni che rimandano al suo periodo biancoceleste. Nelle ultime uscite ha proposto anche le tre mezze punte a fluttuare negli spazi dietro al centravanti, pretendendo tuttavia magliette intrise di sudore: in fase difensiva il centrocampo muta rapidamente a cinque, gli spazi si intasano e manovrare nel traffico diventa una missione intricata. In patria, dove è più agile esporre il petto - una manciata di recenti vittorie di fila - è abituato a macinare gioco. È successo anche nel girone – vinto – della coppa dalle orecchie prominenti, ma non sempre quel palleggio insistito, sintomo di qualità tecniche invidiabili, si è rivelato redditizio.

Taremi
Mehdi Taremi, il bomber dei dragoni

I principali punti di forza

L’impianto di gioco è ampiamente collaudato. L’undici srotolato sul campo ha mandato a memoria movimenti e dettami. La squadra si muove in sincrono, elargendo il sentore di una fisarmonica rugbistica. Tignosamente tecnici o tecnicamente tignosi: qualunque sia la risposta al quesito marzulliano, è quella sbagliata per gli avversari. Un operoso suk che eleva le individualità. Provare a citofanare a Mehdi Taremi per credere: l’iraniano ha già segnato 20 gol in stagione, 5 dei quali in Champions. Nello spogliatoio di Appiano è affisso come il pericolo pubblico numero uno. Là davanti non sarà il solo a spifferare pensieri poco edificanti alla retroguardia nerazzurra. Un occhio di riguardo dovrà essere dedicato agli svolazzanti Galeno e Pepè, distributori automatici di superiorità numeriche. In mezzo giostra il metodico Uribe, spesso affiancato dal talentino Grujic. Dietro c’è un altro Pepe, quello più noto e (eufemismo) irruento. Tra i pali Diogo Costa, l’uomo che sussurrava ai rigori.

Il lato vulnerabile dei dragoni

A Milano mancheranno quasi certamente alcuni profili di sicuro affidamento. Pesano alquanto le assenze per infortunio del centravanti Evanilson e dell’estroso incursore Otavio, ma non sono meno dimenticabili quelle del terzino Wendell e del roccioso centrale Cardoso. Ma ci sono altre fenditure all’interno delle quali l’Inter può provare a insinuarsi, per far collassare il giocattolo lusitano. La prima crepa, a dire il vero quella meno evidente, concerne la tenuta mentale. Riguardarsi la disfatta interna contro il Bruges a settembre: uno 0-4 allucinante, poi vendicato al ritorno. Episodio isolato o sintomo che ogni tanto i dragoni spengono la luce? In quella partita i ragazzi di Conceicao si resero preferibili per numero di conclusioni e possesso, ma non servì a niente. Questo è uno schema più ricorrente: spesso la corposa mole di gioco prodotta non si traduce in reti.

Resistere alle folate e rispondere cinicamente potrebbe bastare a Inzaghi. Infine la retroguardia: da strofinarsi gli occhi quando si tratta di fare scorribande nell’altrui metà campo, meno irreprensibile nella propria. Missione possibile, insomma, ma per nulla agile.

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