Caldarola: «È gente vera, altro che partito di plastica»

«Non è come nel ’96, oggi l’opposizione è motivata e combattiva. Siamo stati presi in contropiede»

Laura Cesaretti

da Roma

«C’è una formula che va urgentemente cassata dal vocabolario politico italiano», avverte Peppino Caldarola. Quale? «Partito di plastica. Ma quale plastica? Quella di sabato a Roma era gente vera, e motivata».
Caldarola, ex direttore dell’Unità e parlamentare della Quercia (oggi animatore di quella «terza mozione» che contesta dall’interno della maggioranza ds l’ipotesi di scioglimento nel Partito democratico) dice che il successo di San Giovanni non lo stupisce. «Mentre andavo in autobus verso gli studi del Tg5 - racconta - ho incontrato non solo pullman, ma singole persone avvolte nelle bandiere: gente normale, che si muoveva non perché organizzata ma per decisione propria, per voglia di partecipare: un popolo vero di centrodestra».
E cosa dice al centrosinistra di governo quella partecipazione di «popolo»?
«Dice due cose: primo, non è successo quel che successe nel ’96 al Polo e nel 2001 al centrosinistra, e cioè che chi è finito all’opposizione si ritrova demotivato e incapace di reagire. Il popolo di centrodestra è motivato e combattivo. E poi dice che il dibattito politologico sul post-Berlusconi è del tutto ozioso: lui c’è, ci sarà, deciderà come e quando e con chi preparare la successione. La sua è una leadership piena. E ha un progetto che si sta avverando con maggior rapidità di quanto ci si aspettasse».
Quale progetto?
«Ieri Berlusconi ha ripetuto con maggior successo una delle operazioni che lo portarono alla vittoria del 2001: la fusione in un solo popolo di tre componenti (Fi, An e Lega) cui ha indicato lo sbocco del “Partito della libertà”. Uno sbocco che lo rimette nel gioco europeo, scegliendo l’appartenenza alla grande famiglia del Ppe, con Fini pubblicamente investito come vicario del leader e la Lega in un ruolo simile a quello della Csu bavarese. Si tratta di un’operazione politica importante, simile a quella che il centrosinistra sta tentando con il Partito democratico, ma con la differenza non da poco che noi ci dividiamo sullo sbocco europeo mentre Berlusconi supera di slancio l’ostacolo».
Dal Ppe però è arrivato un veto contro An...
«Vero, un veto ispirato probabilmente anche dall’Udc. Ma Berlusconi pensa di bypassarlo con il partito unico: al Ppe sarebbe impossibile a quel punto metter bocca sulla presenza di Fini. È esattamente l’opposto di quel che succede da noi: il Pse non avrebbe nessuna difficoltà ad accogliere un eventuale Partito democratico, ma le difficoltà arrivano dall’Italia, da Prodi e Rutelli. E così Berlusconi ci copia, ma alla fine ha una tempistica e una linearità che a noi mancano, e mentre noi litighiamo rischia di batterci sul tempo, e di dare ai suoi quel manifesto comune che a noi manca».
E l’Udc di Casini che fine fa?
«La giornata di ieri ne ha segnato l’uscita ufficiale dalla Cdl, e per l’Udc inizia una traversata del deserto. Berlusconi punta sul bipolarismo, Casini può solo scommettere su un cambio di sistema politico e la rinascita di un centro cattolico con pezzi di centrosinistra. D’altronde un ritorno del figliol prodigo è difficile: troverebbe la successione già preparata e l’ostilità di massa della gente di centrodestra».
Come giudica le reazioni dell’Unione alla manifestazione Cdl?
«Infantili. Quel milione di persone scese in piazza dovrebbero suggerire al governo di mettersi in ascolto. L’Unione è arrivata al governo con una maggioranza risicata ma con grandi aspettative. I primi mesi però hanno indebolito il nostro legame con l’elettorato. Non c’è solo un errore di comunicazione sulla Finanziaria: l’idea che siamo il governo delle tasse è passata, e manca quella di una mission. Nessun esecutivo si regge solo sul risanamento, ci vuole un rilancio delle riforme.

Così abbiamo consentito al centrodestra di riprendersi dalla vittoria mancata e ripetere lo sprint della campagna elettorale: anche allora per 15 giorni la Cdl è parsa annichilita, poi Berlusconi è andato a Vicenza, in Confindustria, e ha iniziato la sua cavalcata di rimonta. Il Cavaliere ha senso del tempo e intuizione politica: ha rinunciato alla spallata e costruito l’evento politico, prendendoci un’altra volta in contropiede».

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