Claudia Passa
Al telefono, sollecitava il fratello a pagargli lautomobile che gli aveva venduto. Chiedeva conto del denaro pattuito. E la procura registrava. Domenico non sapeva che il nome di suo fratello era finito negli incartamenti giudiziari di uninchiesta su unassociazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Che, dunque, il telefono era costantemente intercettato, notte e giorno. E che, nellanalizzare le trascrizioni delle telefonate «spiate», quel debito legato alla vendita della macchina era stato interpretato come il compenso dovuto per chissà quale mercimonio fuorilegge.
Così, quando gli inquirenti hanno trovato in casa del congiunto una partita di droga e lo hanno arrestato seduta stante, alla telefonata di sua cognata in lacrime Domenico ha risposto: «Lhanno arrestato... Perché non mi avete avvisato? E dove lavevate messa questa droga? In casa? Ma siete proprio deficienti...».
Tantè bastato perché il 45enne Domenico Adriani, romano, incensurato, sposato con figli piccoli, finisse in manette pure lui e fosse spedito direttamente nel carcere di Ancona, raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare, dove è rimasto rinchiuso per circa un anno. Laccusa che lo ha portato a processo assieme ad altri nove era pesante: «nellassociazione per delinquere - questo il capo dimputazione formulato dalla magistratura - ricopriva il ruolo di distributore dello stupefacente ai vari spacciatori; era incaricato dellincasso dei guadagni derivanti dalla vendita, e unitamente agli altri componenti il sodalizio criminoso provvedeva alla custodia dello stupefacente».
Domenico non si è arreso. La sua vita è andata in pezzi: le numerose attività commerciali che gestiva nella Capitale, soprattutto edicole e negozi di alimentari, hanno chiuso i battenti luna dopo laltra, avviate allinevitabile fallimento. Lui, fin dallinizio della disavventura, non ha mai smesso di professarsi innocente, da dietro le sbarre ha chiesto in continuazione di essere scarcerato, ha depositato istanze su istanze, non sè dato pace. Suo fratello Romeo, arrestato quando in casa gli è stata trovata la droga, in galera cè morto, prima di poter vedere la fine del processo celebrato col rito abbreviato.
Ma quella sentenza che per Romeo non potrà più arrivare (poiché la morte estingue il reato), per Domenico - difeso dal penalista romano Gianluca Arrighi - ha significato la fine di un incubo. Il proscioglimento da ogni accusa. Di più: lopinione, messa nero su bianco dal giudice per le indagini preliminari Luisa Paolicelli, che quella telefonata tra il commerciante e sua cognata, unico supporto alla tesi accusatoria, era invece la prova schiacciante che Domenico col traffico di droga non centrasse proprio nulla. Che non ne sapeva niente, al punto di lamentarsi al telefono (intercettato) di non esser stato avvisato di quanto stesse accadendo.
«Domenico - scrive il giudice - si duole con la cognata di non essere stato avvertito (non mi avete avvertito); circostanza, questultima, che induce a ritenere che egli non solo non ha dato alcun apporto causale alla detenzione materialmente posta in essere dal fratello, ma addirittura che egli non sapesse neanche dellesistenza dello stupefacente rinvenuto a casa del fratello. La conversazione sopra riportata, si ribadisce che costituisce lunico elemento di prova contro Adriani Domenico e dimostra inequivocabilmente come questultimo non abbia nulla a che vedere con lo stupefacente rinvenuto. Quindi - chiosa la sentenza del gip Paolicelli - Adriani deve essere assolto».
Immediato, assieme al proscioglimento, anche lordine di scarcerazione. Ma la vicenda è destinata ad andare avanti, poiché per scrivere la parola fine bisogna attendere lesito della richiesta di «riparazione per ingiusta detenzione» che lavvocato Arrighi ha già annunciato di voler presentare in Corte dappello, «richiedendo quale indennizzo centinaia di migliaia di euro».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.