La campagna di Russia degli scrittori italiani

Gli editori moscoviti scoprono la nostra letteratura: Ammaniti, Baricco, Mazzantini. E su Calvino c’è un piccolo caso: la vedova ha bloccato le traduzioni...

da Mosca


Come definisce Pier Paolo Pasolini? «Una felice combinazione di trasparenza e di mistero». Gabriele D’Annunzio? «Un’artificiosità affascinante». Carlo E. Gadda? «La più alta sfida per un interprete: tradotto lui, si è in grado di tradurre tutti». Giorgio Manganelli? «L’ho scoperto io: lo ammiro per la sua capacità inventiva insuperabile». E Italo Calvino?, chiedo incuriosita a Natalja Stavrovskaja, la grande traduttrice e critica russa, attualmente capo di un team di traduttori a Mosca che curano la simultanea per gli studenti della storia del cinema nonché traduttrice (e commentatrice) di un’ottantina di opere di Pasolini; e che inoltre si è misurata con autori non propriamente facili come Croce, D’Annunzio, Gadda, Leopardi, Morante, Sciascia, Tabucchi e buona parte del gotha della letteratura e del cinema italiano.
«Calvino mi piace moltissimo», mi dice mentre scarpiniamo in una magnifica Mosca sommersa dalla neve, con alberi luccicanti in vista del nuovo anno perché da queste parti la gente per troppo tempo è stata costretta a dimenticare il Natale e oggi si è abituata a non festeggiarlo. «Calvino è il mio autore preferito - ribadisce con sguardo illuminato che di colpo si rabbuia - peccato che la vedova abbia bloccato la pubblicazione delle sue opere in Russia».
È veramente dispiaciuta Natalja che, grazie alla sua incessante e severa ricerca della perfezione linguistica, ha regalato ai russi buona parte della migliore produzione letteraria italiana; una che da sempre è rimasta affascinata dalla nostra cultura e dagli italiani (confessa di aver avuto una lunghissima storia d’amore con un architetto di Milano): «Mi piacete voi meridionali - commenta entusiasta (sì, dice proprio così, «voi meridionali») - voi che emanate sole e vitalità, elementi che mancano in una Mosca dove la temperatura può scendere fino a meno trentacinque gradi». Natalja, insieme a Fridenga Dvin, ha vinto ex aequo il premio del Grinzane Cavour giunto alla sua seconda edizione moscovita e molto apprezzato anche dagli intellettuali russi. Mi racconta di come qualche anno fa, insieme a un altro grande traduttore e italianista, Ghennadij Kiselev, abbia pensato di riproporre Calvino ai russi. Insieme pensarono di raccogliere in tre volumi - il primo con la trilogia I nostri antenati, il secondo e il terzo con le grandi opere, materiale inedito o edito in riviste di settore - con la speranza di poter continuare con i saggi e altri scritti minori.
«Esther Calvino, più conosciuta come Chiquita, si oppose a un logo a strisce scelto dalla casa editrice pietroburghese Symposium. Affermò che in questo modo Calvino appariva dietro le sbarre, una sorta di prigioniero. Non volle capire che si trattava di un marchio con una grafica che semplicemente identificava una collana». Natalja spiega che Calvino era intimamente contrario alla mancanza di libertà ideologica in Urss, una convinzione che tuttavia non palesava più di tanto. «Probabilmente la vedova, che condivideva le idee del marito, è diventata in seguito più critica di lui e con più pregiudizi. Di fatto Calvino adesso come adesso qui da noi è bloccato».
E si parla molto in occasione di questo Grinzane di traduzioni e traduttori - oltre che dell’ottimo scrittore anche lui vincitore del premio, Asar Eppel, con il suo Via d’erba (Einaudi) - figure troppo spesso dimenticate o ignorate in Occidente e invece nobilitate se non addirittura considerate sacre nell’Europa centrale e soprattutto qui in Russia (anche se decisamente sottopagate in rapporto alla fatica che questo lavoro implica). Lo spiega bene Jlja Levin con il suo volto intenso e la bella barba bianca quando parla del delicato equilibrio che deve mantenere il traduttore tra immedesimazione, suggestione e autonomia. E suona bene il decalogo dell’italianista Kiselev che elenca le regole del bravo traduttore il quale «non deve rubare (la gloria altrui)», «non deve uccidere (la parola che ignora)» e «non deve desiderare la roba d’altri (ponendo la sua firma sopra un’opera non da lui creata)».
Infine incontro Elena Kostjukovic, editor, traduttrice (tra i tanti anche di Umberto Eco) e grande promotrice della letteratura russa in Italia (e viceversa). «In Russia ci sono diversi scrittori italiani che hanno molto successo - racconta di fronte a un calorico antipasto a base di panna acida e misteriose salsine -. Tre giorni fa è uscito Novecento di Alessandro Baricco (qui piace moltissimo); poi sta per uscire Sei una bestia Visckoviz di Alessandro Boffa, già tradotto in quindici lingue, pubblicato dalla casa editrice molto trendy Ad Marghinem di Mosca (verrà presentato a giorni); Sandro Veronesi “è in fase di lavorazione”; di Niccolò Ammaniti è appena uscito Fango, edito da Symposium e un suo altro libro è in cantiere; Giuseppe Culicchia, pubblicato da Azbooka funziona bene, Giorgio Todde è in uscita, Alessandro Perisinotto lo stanno traducendo.

Un altro gettonato è Roberto Cotroneo, pubblicato dalla Aleteia di San Pietroburgo».
Nessuna donna, mi azzardo a chiedere? Kostjukovic riflette mentre azzanna un cetriolo: «Hanno comprato Margaret Mazzantini (Azbooka) che dovrebbe uscire fra breve». Vita grama per le scrittrici italiane in Russia.

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