Politica

Campanili contro i minareti

Che fine hanno fatto i campanili, adesso che ce n'è bisogno? Nei bei tempi andati quando un pericolo incombeva sulla comunità i campanari si attaccavano alle corde e le campane cominciavano a suonare a stormo, impossibile non sentirle, impossibile non accorrere con gli strumenti adatti: bastoni se c'era da menar le mani, secchi se c'era da spegnere un incendio. Nel 1494 quando Carlo VIII invase Firenze non trovò ad accoglierlo il ministro Bianchi, quello che vuole soldi dal contribuente per stendere tappeti rossi agli africani che sbarcano a Lampedusa. No, si trovò davanti un Pier Capponi che a dispetto del cognome disponeva degli attributi necessari e quando il re di Francia gli presentò un papiro con le condizioni di resa (pare che il tono non fosse molto diverso da quello dei proclami islamici dell'Ucoii) lo strappò gridando: «Se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane».
A parte che di Pier Capponi non se ne vedono molti in giro, il problema sono le campane anzi i campanili. Si stanno rimpicciolendo a vista d'occhio, anzi si stanno estinguendo. Niente più campanili quindi niente più campane da suonare. Non ci credete? Pensate che la Torre di Pisa, il Torrazzo di Cremona o il campanile di San Marco non ce li possa levare nessuno? Ma quelli ormai sono campanili turistici, buoni per le foto coi telefonini. Invece stanno scomparendo i campanili delle parrocchie di periferia, i campanili delle chiese dei quartieri dove la gente abita davvero. È uscita la «Guida all'architettura sacra 1945-2005» (Electa) e a sfogliarla c'è da mettersi le mani nei capelli. È dedicata alle chiese costruite a Roma negli ultimi sessant'anni ma rappresenta quanto è avvenuto e sta avvenendo in tutta Italia. Fino agli anni Cinquanta le chiese somigliavano a chiese. Magari non erano dei capolavori ma avevano pur sempre una facciata, una o più navate e un campanile. Uno che non era del posto passava di lì e diceva: toh, una chiesa. Nessunissima possibilità di confonderla con un carcere, un garage, una scuola o una stazione di servizio. Negli anni Sessanta sappiamo quello che è successo: il concilio Vaticano II. La Chiesa, quella con la C maiuscola, abbandonò il latino per farsi capire da tutti, e forse era giusto, ma in campo edilizio prese la direzione opposta e così nel giro di pochi anni i nuovi edifici di culto diventarono incomprensibili ai fedeli non laureati in architettura. Le facciate scomparirono dietro pensiline che nemmeno nelle stazioni, le navate diventarono «vani assembleari», le forme si fecero spigolose, in certi casi perfino triangolari come fossero templi massonici, e i campanili, i fieri campanili orgoglio delle città italiane cominciarono a deperire, facendosi sempre più piccoli, fino a scomparire del tutto. Nella strombazzatissima chiesa romana di Richard Meier, architetto ebreo americano chiamato da qualche vescovo masochista a costruire una chiesa cattolica nella borgata di Tor Tre Teste, il campanile non c'è o se c'è non si vede. Accuratamente mimetizzato.
A pagina 174 della Guida Electa c'è una chiesa di Ostia definita «a sviluppo plastico negativo». In italiano corrente significa che è schiacciata contro il terreno, come se qualcuno l'avesse voluta far sprofondare. Non è mica un problema estetico, sia chiaro. È un problema squisitamente religioso quindi culturale e politico. Padre Samir Khalil Samir, il gesuita egiziano che ben conosce la spinosa questione, dice che l'islamismo «fa proseliti su proseliti perché l'occidente si autonega, si vergogna di sé». Le persone cercano punti di riferimento. Punti di riferimento visibili.
Le chiese senza campanile, le chiese pudibonde che si nascondono fra i palazzoni delle periferie non attraggono nessuno, non entrano a far parte del paesaggio, non ci si accorge nemmeno che esistano. E lontano dagli occhi lontano dal cuore, si sa.
Tutto questo mentre i musulmani dimostrano di tenere moltissimo ai loro minareti: loro non si sono dimenticati il valore dei simboli. In passato combatterono una battaglia (ovviamente vinta) affinché la grande moschea di Roma avesse un minareto adeguato. E fu solo l'inizio perché oggi anche a Colle Val d'Elsa, in provincia di Siena, più che una questione moschea è esplosa una questione minareto: Oriana Fallaci dice che con i suoi ventiquattro metri di altezza profanerà il paesaggio toscano e minaccia di farlo saltare personalmente in aria (se ha bisogno di assistenti siamo qui), mentre il sindaco minimizza, sarà più basso e comunque lui è diessino e i minareti gli piacciono. Ci mancavano solo i sindaci, non bastavano gli architetti, questa quinta colonna di professionisti del nulla che si accanisce contro l'identità di una nazione assediata.

Se tornasse Pier Capponi non saprebbe più a che campane attaccarsi, e infatti non torna.

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