"In campo ho parato tutto ora temo gol a tradimento"

Dino Zoff, il portiere più famoso al mondo compie 74 anni. Nella sua vita da record ha incontrato campioni, capi di Stato, Papi e dittatori. "Quando Wojtyla mi disse: noi due siamo colleghi..."

per Zoff Balotelli colpevole come tutti gli altri
per Zoff Balotelli colpevole come tutti gli altri

Ogni uomo ha il silenzio che merita. E che lo rappresenta al meglio. Uno stile nel centellinare le parole, in grado di distillare lo straordinario dall'ordinario. Il silenzio «zoffiano» giunge all'orecchio come eco lontana di tre parole: senso di responsabilità. Dino Zoff, il più grande portiere che l'Italia abbia mai avuto, il 28 febbraio compirà 74 anni. Trascorsi, appunto, all'insegna del «senso di responsabilità». Guardando avanti e scacciando nostalgie. Zoff ha una filosofia esistenziale tutta sua: «La vita è una parabola, segue uno schema fisso come il giorno e la notte. E quando arriva il tramonto, non è che puoi stare lì a lamentarti. Non puoi pensare che ti mancherà il sole. Meglio, molto meglio, prepararti a passare una bella serata». Un mantra che, se fosse un calciatore di oggi, Dino si farebbe tatuare; o forse no, considerato che - come sostiene lui - «quella è roba per esibizionisti». Logico, detto da chi ha sempre incarnato la prevalenza dell'essere, e che l'apparire lo ha lascia agli altri. Come cibo per mediocri.

Lei si nutre solo di serietà friulana. C'è chi la definisce un monumento.

«Sopra i monumenti c'è sempre il rischio che i piccioni ci facciano la cacca. Il termine che più mi piace è: campione».

«Campione» di sport. E di etica.

«Sono felice che la gente me lo riconosca. Soddisfa il mio narcisismo, ma è la prova che, anche moralmente, ho seminato bene nella vita».

Il concetto di «semina» lo ha mutuato da suo padre contadino?

«Orgogliosamente contadino. Papà ripeteva: La terra ti ripaga di ciò che le dai: se le offri amore, te lo restituisce"».

Genitori inzuppati di fierezza e fatica.

«In famiglia la vera ricchezza era l'onestà e il culto del lavoro. Mamma Anna e papà Mario non facevano coccole, ma davano il buon esempio...».

Il contrario dei genitori di oggi, che dispensano tante coccole e pochi buoni esempi.

«Condivido. A scuola se un insegnate è severo o sgrida un alunno, 9 volte su 10 i genitori prendono subito le difese del figlio. Credo che sia un comportamento diseducativo».

Viviamo in un'epoca in cui vince chi è più arrogante, chi urla di più.

«Alzare la voce è considerato sinonimo di virilità, di machismo. Io credo invece che si possano dire cose dure e intelligenti mantenendo toni pacati».

Settantaquattro anni il prossimo 28 febbraio, si diceva: tanti per chi vive di ricordi, pochi per chi sa sopravvivere ai ricordi. Sognando.

«Ma, per gli anziani come me, ormai gli unici sogni sono legati proprio ai ricordi».

Di recente un piccolo acciacco di salute, ora pienamente superato. «Ho parato anche questo...» ha confidato a Marco Mensurati di «Repubblica».

«È vero. Ma non ho ancora ripreso a giocare a golf. Spero di farlo presto».

Per riassaporare quel «profumo di erba» di cui parla nella sua recente biografia: Dura solo un attimo, la gloria (Mondadori).

«È un profumo inebriante che solo i portieri possono pienamente apprezzare. Anche tu giochi in porta. E, da collega, puoi capire a cosa mi riferisco».

Grazie di cuore per il «collega». Torniamo al suo appassionante diario di viaggio. Resoconto di un atleta sempre in volo: tra i pali di una porta, come tra i legni del destino.

«Ma contro i tiri mancini del destino, non c'è parata che tenga. Non c'è tecnica che serva a evitare i suoi gol».Nei momenti difficili la fede in Dio può aiutare?«Certo. Ma io ho pudore a parlare di religione».

Spagna 1982. Lei solleva la coppa del mondo. Maglia grigia. Da sotto il colletto azzurro spunta un laccio sottile. Attaccata, quasi invisibile, c'è una medaglietta color avorio. Cosa raffigurava?

«Una madonnina».

Regalo di sua madre?

«Mamma Anna, donna dolcissima».

Nonna Adelaide era invece più aspra.

«Aspra come le prugne con le quali mi allenava quando ero bimbo».

La allenava con le prugne?

«Me le lanciava e io le dovevo afferrare al volo. I primi tuffi ho cominciato a farli così. E guai a sbagliare la presa. In casa di contadini era vietato sprecare il cibo».

E guai a far male agli animali.

«Quand'ero ragazzino con il fucile a piombini sparai a una tortora, uccidendola. Fu l'unica volta in cui mio padre mi sgridò alzando la voce: Gli animali sono creature di Dio, vanno rispettati. Ricordalo».

Lei è un taciturno, lo ritiene un difetto?

«Tutti i pregi, se esasperati, possono diventare un difetto».

Non mi ha risposto...

«E allora ti dico che chi parla tanto, poco sa...».

Anche questo lo diceva suo padre?

«Anche di lui si diceva che era un orso. Nulla di più falso. Lui era solo convinto che non è giusto parlare solo per aprire bocca. E io sono d'accordo. Non si inganna la vita con gli aggettivi».

Il suo «secondo padre» è stato invece Bearzot.

«L'unico che ho baciato in uno slancio di emozione. Avevamo appena vinto contro il Brasile, conquistando la finale del Mundial '82 in Spagna. Enzo era in mezzo al campo e stava rispondendo a un'intervista, io andai da dietro gli schioccai un bacio sulla guancia. Per anni, ricordando quella scena, ci siamo entrambi vergognati: due friulani che si baciano non si erano mai visti...».

Nel suo cuore c'è anche Scirea.

«Gaetano. Un fratello. Quando penso a una persona buona e leale penso a lui».

Oggi, nel mondo del calcio, di lealtà ce n'è poca. Champions League da una parte. E «Cialtron» League dall'altra...

«Il calcio è lo specchio della società. Se un calciatore, ottenendo con l'inganno un calcio di rigore, viene esaltato dal suo mondo (tifosi, compagni di squadra, dirigenti), sarà sempre più invogliato a comportarsi disonestamente».

A proposito di onestà. L'ex presidente Sandro Pertini, anche se con un po' di ritardo, ammise che a sbagliare, durante quella celebre partita a carte sull'aereo che dal trionfo spagnolo vi riportava in Italia, fu lui e non lei.

«Sì, stavamo giocando a tressette: io e Pertini contro Causio e Bearzot. A un certo punto della partita ci fu uno scarto errato che mandò il presidente su tutte le furie. Una reprimenda che fece il giro del mondo. Ma poi Pertini ci ripensò: «Chiedo scusa a Zoff, a sbagliare scarto ero stato io».

Nel suo album degli incontri celebri c'è perfino Gheddafi.

«Mi ospitò sotto la sua tenda. Disse di non ricordarsi dove fosse nato. Forse su un cavallo...».

E il faccia a faccia con Papa Wojtyla?

«Anche lui un collega. Mi disse di aver giocato in porta quand'era giovane».

Wojtyla, come portiere, avrà potuto contare su molti «santi in paradiso»... non crede?

«Scherzi a parte, io detesto le raccomandazioni. Insieme al vittimismo, sono tra i peggiori vizi di noi italiani».

Anche questo un insegnamento di papà Mario?

«Sì. E che spero di aver trasmesso anche a mio figlio Marco e ai miei nipoti, Pietro e Clara. Di cui sono molto orgoglioso».

Da «nonno» cosa si augura per loro?

«Che facciano liberamente il proprio percorso di vita. Senza rimpianti».

Lei, di rimpianti, ne ha?

«Da uomo di sport, no. Da figlio, invece...».

Invece?

«Credo di aver fatto poco per i miei genitori».

In che senso?

«Avrei dovuto essere più presente. Loro con me c'erano sempre. Io no. Non c'ero nemmeno quando sono morti».

Il rimorso è una brutta bestia.

«Quando ci penso sento una fitta fortissima. Ma ormai è andata così...».

Il suo libro si apre proprio con questo brutto ricordo.

«Sarà sempre il grande rammarico che mi porto dentro. La mia colpa più grande».

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