Chiamarsi «Camposanto» è impegnativo. Bisogna provarci sempre. Ed Evander Holyfield, altrimenti detto «Camposanto», ha il piacere dello sfidare il senso della vita. Sta per tornare sul ring. LAfrica chiama, come trentasei anni fa chiamò Foreman e Muhammad Alì. Allora era Kinshasa, stavolta sarà Kampala nellUganda. Allora era un match fra due pugili veri, questo fra due reperti dantichità. Ma Holyfield, come tanti, non riesce a stare lontano dal ring. Ci torna dopo un anno e alla inquietante età di 47 anni: allora, in Svizzera, incassò 750mila dollari e una sconfitta, per molti ingiusta, contro quel bestione di Nicolay Valuev, lultimo pachiderma lanciato dal business pugilistico. La spinta è sempre data dal danaro: a Holyfield serve per vivere, sopravvivere e pagare gli alimenti alle due mogli, tener in piedi gli undici figli avuti da sette diverse donne. Sì, il tipo esagera un po in tutto. Nel combattere sul ring e a letto. Non si mette limite: si tratti di pugni o di donne, di zuffe o di sesso. Ma è anche vero che «Camposanto» solo nel quadrato riesce a sentirsi come a casa sua.
Stavolta (data prevista 16 gennaio, ma a novembre il match aveva già subito uno slittamento) affronterà un botolo sudafricano di 41 anni, passato alla storia come il «bisonte bianco», Francois Botha, più largo che alto, uno che ti raccontava perfettamente come avrebbe steso Mike Tyson, salvo venirne steso in 5 round allatto pratico. Non è uno sbruffone, solo un pugile senza paura: si è battuto con Mike Tyson, Lennox Lewis, Wladimir Klitschko e Michael Moorer, il meglio degli ultimi venti anni. Botha non ha nemmeno paura delle brutte figure. È passato attraverso storie di doping. Di recente ha strappato in Germania un pareggio, poco meritato, contro Pedro Carrion, un modestone.
Ma qui non conta Botha, che ha laria dello sparring in tutti i sensi, qui contano Holyfield e il suo appeal che devessere ancora forte, se in Uganda hanno previsto di riempire gli 80mila posti dello stadio Nambole. Certo, dire Holyfield riporta a Tyson, a Lewis, a grandi match e grandi sceneggiate. Il timbro di fabbrica era quello di un pugile noioso, molto risparmioso, attento a non sprecare. Ma quando si ritrovò un orecchio mozzato da Tyson, Holyfield entrò finalmente nellocchio e forse nel cuore degli amanti della boxe. Incredibile storie di vita e di pugni, eppure Evander è stato grandissimo come campione del mondo dei massimi leggeri, grande come re dei massimi, lunico ad aver conquistato quattro volte la corona. Più grande di lui è stato lo smisurato Ego, ma anche la capacità di raccattare danari: in 35 anni di carriera è arrivato a 250 milioni di dollari. E guai a buttare qualcosa. Racconta la storia che, per unasta benefica, preferì regalare un guantone da 10 dollari piuttosto che uno da 150.
Ora Evander raccoglie forse spiccioli, anche se non si sputa su un milione di dollari a 47 anni. Vero, sul quadrato i cinquantenni non sono mancati ed hanno fatto colpo: valgano Archie Moore e George Foreman. Ma Camposanto è sempre stato «The real deal», «il vero affare» e le sue paghe confermano. Non si è fermato davanti a problemi cardiaci, storie di doping, aziende in rosso, al fatto che nessuno più gli voleva concedere la licenza. Ora combatte con un permesso rilasciato a Houston, dove possiede un ranch. Ha vinto solo 5 degli ultimi 12 match. Non vince mai quelli con le ex mogli e le ex donne-madri dei suoi figli.
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