Roma Se sotto sotto alimentava una speranzella, Susanna Camusso si metterà l’animo in pace: la festa per l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi non ci sarà. Non si vedrà neppure con la lente d’ingrandimento. Era la prima cosa che avrebbe voluto dire al nuovo premier nell’incontro di stamane, confessa dal palco dell’assemblea straordinaria della Cgil: «Non ci rovini la festa che pensiamo di dover fare perché l’altro governo è uscito».
No, non sarà una festa, né un pranzo di gala. Magari si andrà tutti allo sciopero generale, il solito, che riscuote consensi a largo raggio ma non pare aver portato buono ai cugini greci. Sarà il 16 dicembre, rafforzato dall’incazzatura per una smilza tredicesima, e si può immaginare un successone. Ma dopo di che? La Camusso pare pencolare tra l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione. Anche l’entusiasmo per il ritorno alla consultazione delle parti sociali, «dopo tanto tempo!», dà presto luogo al fondato sospetto che «si tratti di una convocazione molto ampia, e il tempo a essa dedicato rischia di far passare l’idea che sia solo una informativa e non un luogo effettivo di confronto. Non vorremmo che l’urgenza prevalesse sull’equità delle scelte che si devono fare...». Foschi presagi, con ottime probabilità di avveramento. Tutto lascia pensare che di «informativa» si tratti, e che le misure illustrate dal governo saranno esattamente quelle anticipate dai giornali e giudicate «indigeste» dalla Camusso già ieri, nell’alternarsi di speranze vane («Ci aspettiamo una serie di risposte che diano un positivo segno di cambiamento») e moniti a vuoto («Chi ha di più paghi di più e chi non ha mai pagato cominci»). La linea del Piave della Cgil è nota: la soglia dei 40 anni di contributi per andare in pensione di anzianità («è un diritto, non si fa cassa sulla previdenza», ha rimarcato la segretaria) nonché la difesa dell’articolo 18 («mai ci convinceranno che per andare avanti abbiamo bisogno di cancellarlo»). Note sono anche le proposte alternative: tassazione delle rendite finanziarie, imposte sulle grandi ricchezze e lotta all’evasione fino all’ipotesi di accordo con la Svizzera «per vedere dove sono i capitali usciti dal nostro Paese».
Così, anche senza atteggiamenti pregiudiziali («sosterremo le scelte giuste, contrasteremo quelle sbagliate»), la Camusso si presenterà a Monti determinata a un’opposizione prevedibile quanto dura. Un «niet» che già trascina con sé settori consistenti del Pd - Cesare Damiano ha condiviso le posizioni espresse ieri dalla Cgil -, Nichi Vendola e Oliviero Diliberto, la Uil di Angeletti e il rapido riassestamento parlamentare di Antonio Di Pietro, già pentito della fiducia al governo. Giudicano tutti sulle mezze voci e i retroscena trapelati sui quotidiani, è vero. Ma, se non ci saranno sorprese dell’ultima ora, la zuppa di Monti è la solita solfa: Irpef, Ici, tassa sul superlusso e pensioni. Per Vendola, «o cambia musica o saranno guai, il governo andrebbe a sbattere». Per Angeletti, «una manovra che darà una spinta verso la recessione». E per Di Pietro, che rivendica come San Tommaso «prima tocco e poi giudico», se Monti «preferisse la scorciatoia di sempre, aumentando le tasse per tutti, allora le persone oneste finirebbero per essere cornute e mazziate: non ci sarebbe stato bisogno di inventarsi un governo tecnico, perché l’avrebbe saputo fare anche Berlusconi».
L’intera Italia dei valori si schiera a baluardo parlamentare delle posizioni espresse dalla Cgil: «Sono precise e le condividiamo», fa sapere il responsabile lavoro Zipponi con il beneplacito di Di Pietro. Sicuro di mietere, in questo modo, le vastissime sacche di malcontento lasciate sguarnite dal Pd.
Un’opposizione tattica e anche tecnica, visto che l’Idv ha disertato pure la convocazione a Palazzo Chigi, lamentando che della manovra si debba discutere nella sede propria, il Parlamento. Non nelle camere oscure del Palazzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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