Al momento, le certezze sono due: che la manovra non è stata ancora definita, e anzi ogni giorno subisce modifiche non certo marginali, dentro e fuori il Parlamento, e che la Cgil, ferma come una roccia, sciopererà il prossimo 6 settembre. Il vistoso paradosso- chiamare allo sciopero generale contro un provvedimento che ancora non esiste - era già piuttosto evidente due settimane fa, quando la Camusso annunciò la sua decisione, ma oggi diventa addirittura ridicolo. Il contributo di solidarietà non c’èpiù, e in compenso sono state rafforzate le misure antievasione, prevedendo addirittura il carcere per chi occulta al fisco più di tre milioni di euro, e imponendo la pubblicità on line delle dichiarazioni dei redditi.
A un liberale questo embrione di Stato di polizia tributaria dovrebbe far arricciare il naso, ma non alla segretaria della Cgil, che della lotta all’evasione ha fatto da sempre un caposaldo delle proprie richieste. Eppure la Cgil sciopera. Le feste del Primo maggio e del 25 aprile, cancellate nella prima versione della manovra, sono ritornate trionfalmente a occupare il loro posto nel calendario, consentendo così ai lavoratori non soltanto di celebrare degnamente la memoria laica e civile del Paese, ma anche, se lo desiderano, di organizzarsi un rilassante ponte primaverile.
La Cgil dovrebbe ringraziare, eppure sciopera. Se lo fa, è perché la butta in politica. Del merito dei provvedimenti alla Cgil importa talmente poco, da non curarsi nemmeno di conoscerli. Le importa invece, e molto, marcare il terreno dell’antagonismo, conquistarne la leadership, e così condizionare l’evoluzione del quadro politico emarginando le componenti riformiste del Pd. E se l’unità sindacale cade in pezzi, tanto peggio per l’unità sindacale.
L’obiettivo è abbattere questo governo, e a questo obiettivo primario e politico deve essere subordinato tutto il resto. La radicalizzazione dello scontro rafforza l’identità «di lotta», soffoca il dissenso in nome di un bene superiore (la cacciata del governo, appunto), trasforma il sindacato in soggetto politico. La controprova stanell’avversione a quella parte della manovra che prevede la possibilità di deroghe al contratto nazionale di lavoro.
È un piccolo passo sulla strada, ancora tutta da disboscare, della liberalizzazione del mercato del lavoro,e segue l’accordo sottoscritto qualche mese fa anche dalla Cgil: ma per il sindacato di corso d’Italia è addirittura un attentato alla Costituzione e ai diritti di cittadinanza. Tutti sanno (e certo lo sa la Cgil) che migliaia di piccole aziende aggirano ogni anno il contratto nazionale con l’assenso dei lavoratori, allo scopo non indifferente di salvare produzione e posti di lavoro. Eppure anche soltanto parlarne è, per la Cgil, un tabù. L’ideologia diventa ipocrisia. È evidente l’imbarazzo del Partito democratico, che da un lato vede i suoi emendamenti approvati in Parlamento (come per esempio quello sulla reintroduzione delle feste civili), e dall’altro ha dato la sua mezza adesione allo sciopero con l’argomento davvero pregnante che non avrebbe potuto non darla. Col passare dei giorni, il paradosso rischia di farsi esplosivo.
Ma, anche, di portare forse un po’ di chiarezza. È infatti sul modo di affrontare la crisi finanziaria che si giocano i ruoli e le alleanze del futuro centrosinistra. Per dirla in breve: quei partiti che non si ritroveranno d’accordo sulle linee di fondo di politica economica e finanziaria, oggi che Berlusconi è a palazzo Chigi, difficilmente potranno trovarsi d’accordo per sostituirlo.
Molti nel Pd lo hanno capito, e vedono nello sciopero il segno di una possibile rottura strategica con il centro moderato, che
avrebbe poi pericolose ripercussioni politiche sul piano delle alleanze. Ma alla Camusso tutto questo non sembra importare, e con granitica coerenza sciopera a prescindere. Contro Berlusconi, insieme agli evasori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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