nostro inviato
a Spa-Francorchamps
Alla fine non dirà nulla. Come la Ferrari, come Massa, ma per i motivi opposti. Ma prima Lewis Hamilton aveva raccontato questa gara come «la più emozionate della carriera, una corsa in cui non speravo nella pioggia ma la invocavo... mi sono ritrovato spesso a urlare nel casco «pioggia, pioggia, pioggia... e finalmente è arrivata».
Lewis parla tracimando gioia ma cè qualcosa nel suo sguardo che tradisce un timore. Sa che fra lui e Raikkonen è successo qualcosa che potrebbe cambiare tutto. E poi sa di non godere più di impunità come lo scorso anno in Giappone, quando dietro la safety car seminò lo scompiglio nel gruppo; come in Germania quando rientrò in pista con una gru; come in Ungheria quando fece punire Alonso ai box; come in Brasile quando rallentò Raikkonen in qualifica.
Però ci prova, lo dice: «Sarei molto stupito se i giudici decidessero per una penalità, anche perché Kimi mi ha spinto largo nella chicane, io in quel momento gli ero un filo davanti ed ero allesterno, doveva essere leale visto che non avevo spazio, invece mi ha mandato fuori e sono stato costretto a tagliare la chicane. Ho subito capito che avrei dovuto lasciargli la posizione e così ho fatto, poi lui si è spostato a destra e sinistra così ho fatto lo stesso riuscendo a infilarmi allinterno e a passarlo di nuovo. A quel punto mi ha anche tamponato».
In effetti è questo il momento chiave. Secondo i giudici Hamilton non ha dato di nuovo strada nel modo corretto. Secco il comunicato McLaren: «Abbiamo controllato tutti i nostri dati» diranno Ron Dennis e soci «fornendoli pure ai giudici della Fia, e provano che Lewis aveva rallentato ed era 6 km più lento quando sul traguardo ha fatto ripassare Kimi (quindi, è la tesi, non lo avrebbe ostacolato, ndr).
Più che di orgogliosa precisazione, sa di minaccia.
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