da Roma
Una decisione arbitraria che non rientrava nel potere diretto del governo ma andava invece affidata ad un’istruttoria di esperti. I giudici amministrativi ritengono non competesse al ministro della Salute, Livia Turco, aumentare la quantità di cannabis, il cui possesso non comporta sanzioni penali, da 500 a 1.000 milligrammi, un grammo espresso in principio attivo. Dunque il Tribunale amministrativo del Lazio sospende il decreto ministeriale emanato dalla Turco nel novembre scorso. Provvedimento che ha corretto la precedente tabella di accompagnamento della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, varata nella scorsa legislatura dal governo Berlusconi. Ma il ministro non intende fare marcia indietro e promette di fare ricorso al Consiglio di Stato.
Il decreto della Turco per la verità non ha avuto vita facile fin dall’inizio. Quando il ministro decise di raddoppiare la dose di cannabis oltre la quale scatta la punibilità, ebbe l’appoggio della sinistra radicale e della Rosa nel Pugno ma buona parte dell’Ulivo si dissociò dalla sua presa di posizione, oltre naturalmente alla ferma condanna di tutto il centrodestra. L’ala cattolica della Margherita, i teodem, condannarono l’ammorbidimento delle sanzioni, giudicandolo un segnale pericoloso per i giovani. Pochi giorni dopo il varo del decreto, con una decisione clamorosa che suscitò l’ennesima spaccatura nell’Unione, la Commissione Sanità del Senato approvò un ordine del giorno che impegnava il governo «a riesaminare» quel provvedimento. A votare contro la Turco non furono soltanto le senatrici teodem Paola Binetti ed Emanuela Baio Dossi ma anche la senatrice Anna Serafini, moglie del segretario della Quercia Piero Fassino.
Perché il Tar sospende il provvedimento della Turco? La decisione fa seguito ad un ricorso presentato dal Codacons e da alcune associazioni per i diritti del malato. Nell’ordinanza pubblicata ieri si chiarisce che, in base alla normativa che regola la materia (ovvero la Fini-Giovanardi, ndr), il ministero della Salute può decidere di modificare i limiti massimi delle sostanze stupefacenti o psicotrope che si possono detenere senza incorrere in sanzioni solo sulla base di esigenze di carattere tecnico. Mentre nel caso del ministro Turco per i giudici è evidente che la scelta effettuata non risulta supportata da alcuna istruttoria tecnica che giustifichi il raddoppio del parametro moltiplicatore. Insomma quella della Turco è stata una decisione politica che contrasta con la normativa vigente.
La Turco però non incassa in silenzio. Anche se il suo provvedimento ha avuto una doppia bocciatura, quella politica da parte dei suoi stessi alleati e quella tecnica da parte del Tar, rilancia: «Farò appello al Consiglio di Stato: ritengo infondate le motivazioni del Tar del Lazio». In sostanza, dice il ministro, è proprio la legge Fini-Giovanardi a non offrire «al ministro della Salute alcun criterio tecnico per determinare tale quantità» sottolineando che «la stessa Commissione scientifica, insediata dall’allora ministro Storace per determinare i quantitativi di sostanze stupefacenti ai fini della prescrizione delle sanzioni, concluse i suoi lavori segnalando l’impossibilità di una valutazione tecnica che fosse sostituiva della decisione politica». E dato che la decisione spetta al ministro, prosegue la Turco, «se anche il Consiglio di Stato dovesse confermare gli orientamenti del Tar, si potrebbe ritenere annullabile anche il vecchio decreto» ovvero quello precedentemente varato dal governo Berlusconi. L’unico modo per cambiare la tabella senza incorrere in ricorsi è cambiare la legge. Ed infatti ora la Turco osserva che «al di là degli aspetti giurisprudenziali c’è la forte necessità di una profonda revisione di quella legge, serve una nuova normativa per le tossicodipendenze».
Ma il ministro sa benissimo che dentro l’Unione non c’è accordo nemmeno riguardo alla politica sulle droghe. Tra sinistra radicale e cattolici le posizioni sono inconciliabili: cambiare una legge con una maggioranza divisa appare una missione impossibile.
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