Cannavaro non è dopato, l’antidoping forse sì

«Passare da dopato è una cosa che mi fa girare i c...». Diretto ed esplicito Fabio Cannavaro, arrabbiatissimo per la vicenda che lo ha visto coinvolto. Seduto in aula magna a Coverciano ha poca voglia di sorridere, lui che ha sempre il sorriso stampato in faccia. Tutta colpa di quell’antiallergico a base di cortisone che lui non voleva certo nascondere. «Un’ape mi punge, il braccio mi si gonfia, faccio l’iniezione per evitare danni seri, chiedo l’esenzione e dopo 40 giorni mi ritrovo sulle prime pagine dei giornali come un dopato - lo sfogo del difensore della Juve -. Quando è successo, mi sembrava di sognare. È la seconda volta che mi ritrovo gratuitamente sui quotidiani per una storia del genere».
Il precedente è quel filmato spuntato fuori nel 2005 in cui Cannavaro, alla vigilia di una finale europea a Mosca con il Parma (era il 1999), appariva con una flebo attaccata al braccio. «Quella volta feci io una cazzata a farmi riprendere con la telecamera - ammette il calciatore napoletano -. Ma quella sostanza (si trattava del Neoton, composto a base di creatina, ndr) non era doping e non lo è adesso. Stavolta la cazzata è della Juve e mi sono arrabbiato. Anche allora mi venne il dubbio che quel baccano fosse spuntato perché vesto il bianconero. Altro che doping: sono cresciuto nel rispetto delle regole, la mia carriera è stata tutt’altro e così sono arrivato a 37 anni. Ci mancherebbe solo che qualcuno non mi credesse: ho la coscienza a posto e questo sospetto non me lo voglio portare dietro. Ma all’estero ormai ha girato la mia immagine legata al doping e questo non è positivo per me. I fatti erano chiari a tutti e qualcuno, giornale o televisione, ha davvero esagerato».
Sfogo legittimo, in fondo la storia era nata e morta in un pomeriggio. «Quella di Cannavaro è stata solo una vicenda burocratica - precisa Pino Capua, presidente della Commissione nazionale antidoping -, la Procura del Coni ha chiarito tutto, il calciatore è assolutamente innocente. Si può dire che il caso Cannavaro non sia mai esistito». E ieri l’attesa archiviazione del Tribunale nazionale antidoping ha chiuso il caso. «Se riesco ad alzare la Coppa anche in Sudafrica, prometto che mi tolgo di mezzo, altrimenti a smettere non ci penso proprio...», la chiosa del capitano azzurro.
La vicenda, che ha vissuto passaggi al limite del paradossale (pensiamo al fax spento della Juventus quando il procuratore antidoping del Coni Ettore Torri voleva spedire le sue positive conclusioni alla società bianconera), ha fatto comunque arrabbiare atleti di altri sport. Si è parlato di privilegio verso un calciatore famoso, anzi il capitano della Nazionale, visto che il caso è stato archiviato in così breve tempo. Ed è parso singolare a molti, ad esempio, che Torri si sia recato a Torino per vederci chiaro e non abbia convocato le parti in causa negli uffici romani dell’Olimpico. «Basta con questa storia dei calciatori privilegiati - sottolinea però Cannavaro -. Ci siamo sentiti con il procuratore Torri, potevo andare io a Roma ma abbiamo deciso insieme che venisse lui a Torino. Certo, anche il Coni quando ha visto che non arrivava il nostro certificato poteva alzare il telefono e chiedere...». Cosa che francamente non appartiene al modo di fare dell’ufficio di Torri.
Tutto è nato per un difetto di comunicazione tra i medici della Juventus e l’antidoping.

Accertata l’assenza di dolo per il calciatore, resta da dimostrare invece la responsabilità dei medici bianconeri con un eventuale processo sportivo davanti a Palazzi per violazione di norme procedurali. L’impressione è però che tutto possa esaurirsi con un’ammonizione o un’ammenda da parte della Procura antidoping. E ciò, probabilmente, accadrà in tempi brevi.

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