Cannes - Autentico negli sfondi, verosimile nelle facce e nel lessico (nei cinema italiani circola sottotitolato), Gomorra di Matteo Garrone è un film serio, a differenza di quelli che, per via delle Film Commission, ambientano qualsiasi storia in qualsiasi posto. Trattandosi di opera al Festival di Cannes, quel che conta è però che Gomorra sia premiato domenica prossima. Con quel che si è visto in concorso finora, un premio per la regia o per la sceneggiatura o per il complesso degli attori (il film è corale) sarebbe normale, perché le giurie prediligono i film scarni, amari, deprimenti. Gomorra ne ha ben donde, perché racconta l'esproprio camorristico del territorio campano.
Sono panni sporchi da lavare in casa? Il quesito è stato posto ieri, alla conferenza stampa, confermando il principio che l'estetica per certi film, in certe occasioni, cede al significato politico. Lo hanno accettato Garrone, gli interpreti Toni Servillo e Gianfelice Imparato, il produttore e distributore Domenico Procacci, rispondendo con frasi concatenate, come avrebbero fatto Qui, Quo, Qua, nipoti di Paperino.
Ecco la sintesi del loro ragionamento: «Molto cinema, da festival o no, si occupa della realtà. Camorra e mafia sono da decenni nelle tv pubbliche e private, oltre che nel cinema: nessuno se ne è stupito».
Grazie al Festival di Cannes, certo, Gomorra farà sapere a qualcuno in più, in Italia e fuori Italia, che certe sua parti sono quasi extraterritoriali: come in Colombia, in Albania, in Kosovo, in Thailandia. Del resto a Cannes confluiscono centinaia di film analoghi di altri Paesi. Sessant'anni fa, quando Andreotti parlò auspicando la carità di patria cinematografica, non era così né a Cannes, né in Campania. L'Italia tutta era in epoca di recente sconfitta militare, di rischi di secessione (Sicilia) e di incipiente ricostruzione. Al paese, o meglio alla patria, serviva allegria dagli schermi. La mestizia era già ovunque, altrove, quindi allora aveva ragione Andreotti; oggi, davanti non alla ripresa, ma al declino, guardare una dura realtà particolare, che potrebbe diventare nazionale, spiegherà - più di Notte prima degli esami - che va dimenticata la fazione e ricordata la nazione...
Quanto all'accoglienza durante le riprese nel Napoletano, Procacci ha detto e Garrone confermato che non ci sono state minacce e tangenti da pagare. «Saviano - ha precisato Garrone - non è stato minacciato di morte per il libro, ma per aver accusato, con nome e cognome, capi della camorra durante la sua presentazione a Casaldiprincipe. I camorristi sono stati forse lusingati che si girasse un film su di loro e nella loro zona. Non ci hanno disturbato. Hanno capito che per i loro affari fosse meglio così». Strana Italia, dove i camorristi insegnano agli anticamorristi.
Dice ancora Servillo: «Vivo a Caserta. Quando porto mio figlio a scuola, devo scavalcare con lui i sacchi della spazzatura. Lo scandalo è questo, non che si sappia che non si è ancora risolto questo problema. La mia perplessità di cittadino è che voto, quindi delego ad altri il potere, e pago le tasse, perché questi altri abbiano i mezzi per esercitare per il bene pubblico questo potere. Invece... ».
La conferenza stampa ha rivelato una cosa che Gomorra si limita ad accennare: l’intelligenza di Marco Macor e Ciro Petrone, i ventenni che nel film sono gli insubordinati della camorra che hanno come mito Tony Montana, il bandito cubano di Al Pacino in Scarface di Brian De Palma. I personaggi di Marco e Ciro (si chiamano infatti come gli interpreti) sono esuberanti, ma limitati; invece gli interpreti, fuori scena, sono uno spettacolo a sé. Peccato che Garrone non abbia concesso loro di esprimersi di più.
Avrebbe dato al suo film quel minimo di simpatia di cui lo spettatore sarebbe lieto mentre assiste a oltre due ore di squallori. E il realismo di Gomorra sarebbe stato anche maggiore: ci sono onesti antipatici e disonesti simpatici. E viceversa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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