Cantù, storica finale. Peterson a fine corsa

MilanoCantù strappa la maschera di Milano, un posticcio che non ha mai convinto nessuno, a parte chi ha fatto questa squadra senza un capo e una coda, vince 74-62 gara quattro e va in finale contro Siena. Lezione per chi aveva messo sul Naviglio una barca piena di marinai senza una bussola, con poco talento e tanta presunzione scambiata per orgoglio. Vincono i migliori e la Bennet riporta il Cantuki ad una finale scudetto dopo trent'anni. Peterson sperava di farla franca anche questa volta puntando tutto sulla battaglia, ma poi bisogna anche fare canestro e la sua squadra non sapeva mai come arrivare in maniera semplice alla piccola chiesa con la retina. Trinchieri ha cucinato il Nonno e lo ha steso nell'ultimo assalto.
Principi e vassalli, ma è anche una delle serate per cui vale la pena di giocare a basket per Milano o Cantù anche se rispetto a gara 3 mancano almeno 1000 spettatori. George Karl, l'allenatore di Denver, viene a vedere il figlio Coby, appena discreto, ma confuso come tutti i nuovi compagni, e intanto guarda come recita fuori dalle righe il suo Danilo Gallinari riaccolto come un vero principe dal Forum che lo sogna sempre e lo rimpiange perché dopo di lui non ha più visto un vero giocatore.
Torna anche Giorgio Armani che benedice Peterson prima di sentirsi fare il nome del sostituto per l'anno prossimo: Repesa? Pesic? Dovrà anche informarsi bene su chi andrà a scegliere i nomi per una squadra da rifare totalmente. Sbagliare ancora sarebbe autolesionismo
Cantù cambia strategia: fuori Scekic per Oertner, Mazzarino in panchina lasciando Markoishvili al furore di Hawkins. Il georgiano ci mette un po', ma alla fine graffia mentre il falchetto chiude con un deprimente 1 su 7 al tiro. La Bennet pensa, cerca armonia, Milano ama l'assalto e la spada, ma in certi casi ti tagli: tiri mancati da sotto, troppi falli e Cantù si ripara dalle bombe milanesi segnando 8 liberi su 9: 16-18 dopo 10'.
La Bennet ha capito la musica, vede qualche crepa difensiva e nel secondo quarto, dopo 3', è avanti di 7. Hawkins e Jaaber (17 alla fine con 8 su 18 al tiro però) ricuciono, ma all'intervallo lungo Milano è sempre dietro: 32-36.
Quando la Bennet chiede a Milano di mostrare davvero le sue carte il popolo dell'Armani scopre di avere troppi mezzi giocatori e chi ha coraggio come Rocca ha pure troppi limiti. Nel finale del terzo quarto Markoishvili e Green marchiano a fuoco la pelle dei tremebondi di Peterson ben rappresentata da Lynn Greer: 45-53.

Il vero chiurgo diventa Amleto Micov e Mike Green, scoprendo di avere davanti dei fantasmini, apparecchia la tavola (17 punti) e manda in delirio il suo popolo. E' finale, è gloria ritrovata anche se in fondo al viale c'è un drago senese che sputa fuoco.

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