"Canto le canzoni di papà per renderlo universale"

Parte oggi da Piacenza la tournée in cui il figlio Cristiano De André ripropone il repertorio del grande cantautore-poeta

"Canto le canzoni di papà per renderlo universale"
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Questione di cuore e di passione... Come fa Cristiano, il figlio di Fabrizio De André, a non avere l'animo imbevuto dell'opera del padre? È particolarmente sensibile Cristiano, e non ha avuto una vita facile, ma si è sfogato con la musica. Un pugno di album alle spalle e soprattutto il ricordo, vivido più che mai, dell'opera di colui che viene ormai da tutti considerato un grande poeta. Sta preparando un disco di inediti Cristiano, ma intanto il suo progetto più importante è la tournée "De André canta De André", in partenza oggi da Piacenza. Che girerà l'Italia rendendo omaggio al repertorio di papà.

Emozionato?

"Sì, sono io il primo a emozionarmi suonando queste canzoni in un gioco di rimbalzo con il pubblico che viene per provare gli stessi sentimenti. Subito, a inizio del concerto, si crea una grande empatia tra me e gli spettatori e l'atmosfera è magica".

Come scegli il repertorio?

"Canzoni tratte da quattro album per un totale di due ore e mezzo di concerto e in cui si alternano, oltre alla musica, anche momenti parlati con tanti ricordi curiosi ed inediti".

Quanto è attuale il messaggio di suo padre?

"È estremamente attuale. Alcune canzoni sembrano scritte adesso. Lui aveva una scrittura molto alta e cerca domande e risposte a livello esistenziale che sono vive anche oggi. Basta guardare il pubblico che spazia dai quindicenni agli ultrasettantenni. Tutti lo amavano e lo amano e io faccio il possibile per onorare ciò che ha fatto".

Quale il suo messaggio più importante?

"Quello che nella vita, per quanto si soffra, non si è mai soli. Cantava i sentimenti in modo molto reale, a volte persino duro. Mio padre si dilaniava, si consumava per scrivere cose sempre più alte e che colpissero il cuore della gente".

Quali sono le sue canzoni preferite?

"Tutte hanno una storia e sono molto diverse una dall'altra. Potrei citare Amico fragile o Marinella che è pura emozione o ancora Ho visto Nina volare. Ma ciascuna delle canzoni che canto con la mia band ha una storia a sé che la caratterizza".

Come ci si sente a suonare queste canzoni? È una grande responsabilità...

"Sì ma anche un dovere. Cerco di entrare nel suo spirito e di trasformarle in qualcosa di universale. Comincio a suonare e a cantare e la canzone si impadronisce di me".

Come ha cominciato?

"Stavo sempre vicino a papà e ai suoi musicisti. Nelle pause mi impadronivo degli strumenti. Provavo a suonare il basso e la batteria e 10-12 anni ho impugnato la chitarra. Poi il Conservatorio con il violino. Ora sul palco suono chitarra, tastiere, violino e percussioni".

Da ragazzo il rock non l'ha influenzata?

"Sì, ne ho ascoltato una valanga. Ero più un rollingstoniano che un beatlesiano ma ho amato tutto il rock, dalla ruvidità dei Who al progressive dei Genesis, però la mia era la carriera del cantautore".

Suo padre cosa pensava della sua carriera?

"All'inizio era contrario. Avrebbe preferito che facessi il veterinario nella nostra tenuta in Sardegna per proteggermi dal confronto con lui, che a tratti è stato doloroso, ma alla fine ce l'ho fatta".

Cosa pensa della musica di oggi?

"È tutto molto semplificato, c'è meno poesia. La cultura negli ultimi anni è decadente, ma ci sono tanti buoni artisti: uno per tutti Brunori Sas".

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