Il caos innovatore di Tps

Tommaso Padoa-Schioppa è un buon economista nonostante la sua terribile Finanziaria. Più problematico il suo approccio alla politica: campo in cui non pare molto ferrato. Però c'è una sua affermazione, di qualche tempo fa, non sbagliata: le vie per il rilancio delle economie occidentali sono due, una più centrata sul mercato, l'altra guidata dall'efficienza dello Stato e dall'accordo con un sindacato modernizzatore. Al di là dei dubbi sull'efficienza di uno Stato in cui il ministro dell'Economia è contestato persino dal ministro degli Esteri e da quello degli Interni, la prospettiva padoaschioppiana (e naturalmente prodiana) risulta assolutamente non credibile proprio nel rapporto con il sindacato. Romano Prodi, per ingabbiare i Ds e tenere buona Rifondazione comunista, ha puntato tutte le carte sulla Cgil, l'organizzazione che ha ispirato le norme antimpresa sulle liquidazioni (anche per la scarsa fiducia nel varo dei fondi integrativi: se non quelli gestiti dalle confederazioni), sta trattando il compromesso sulle pensioni (delineando un arco di lavori logoranti tale da vanificare l'ottima riforma Maroni), chiede la distruzione sostanziale della legge Biagi. Costruire un rapporto fondato sull'asse governo-Cgil è stato un grave errore per più di un motivo: Guglielmo Epifani controlla assai poco la sua organizzazione come si è visto qualche giorno fa quando la più importante categoria industriale cigiellina (i metalmeccanici della Fiom) ha sfilato in solidarietà con i lavoratori precari, praticamente spernacchiando il segretario generale della confederazione, che aveva definito la manifestazione gravemente sbagliata. Scavalcando, poi, la Cisl e la Uil con il rapporto con il sindacato più di sinistra, Prodi spinge le confederazioni più moderate ad atteggiamenti rigidi. I primi risultati si sono visti nel pubblico impiego, dove il governo non ha avuto sconti nonostante qualche intervento (molto limitato) fiscale pro lavoro dipendente. Infine c'è la questione della competitività nel settore privato: se si favorisce la confederazione più egualitaristica e corporativa, tutte le scelte a favore della produttività, necessarie come il pane per l'industria italiana, sono scoraggiate. E ciò alla fine va a detrimento anche dei salari dei lavoratori che solo grazie a un rapporto più stretto tra crescita della produttività e retribuzioni, potrebbero recuperare reddito dopo un certo digiuno dal 1992 al 2006.
Oggi i pasticci del governo stanno venendo tutti a galla e tutti insieme: e così ci si trova di fronte a proteste sindacali unitarie per il Tfr, questione su cui - come al solito - l'esecutivo ha mischiato insipienza a trucchetti in malafede. Ci si deve misurare con una protesta «da destra» (per così dire) di Cisl e Uil che hanno appoggiato la legge Biagi, con i suoi ottimi risultati per l'occupazione, e contestano le scelte della Cgil (e del ministro Cesare Damiano che vorrebbe passare da «amico dei padroni», come l'hanno definito nella manifestazione dei Cobas e di dieci sottosegretari del governo Prodi, ad almeno a un «amichetto dei padroni»). Ci si imbatte in una protesta «da sinistra» della Uilm (categoria dei metalmeccanici della confederazione di Luigi Angeletti) contro la Finanziaria.

Un esito scontato: le confederazioni moderate di fronte ai pasticci del governo (e talvolta di Confindustria) non possono non alzare il tiro per tenere i rapporti con la loro base.
Che da tutto questo caos possa venire una spinta modernizzatrice per la società e l'economia italiana, può passare per la testa solo del raffinatissimo politico Padoa-Schioppa.

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