Capitolina «super»: successi e impegno nel sociale

Nell’impianto di via Flaminia capita che la prima squadra si alleni assieme a ragazzi meno fortunati

Bisogna aspettare 12 anni per coronare un sogno. Certo, la tenacia non è l’unico requisito necessario, ma di per sé rappresenta un ottimo punto di partenza. È solo così che un asilo può diventare un’università o un vivaio una squadra di professionisti che lotta per un posto nell’Olimpo dell’Europa. Ed è esattamente così che il sogno del presidente Claudio Tinari ha fatto la storia della Capitolina, la realtà di quella che ormai è la prima squadra di rugby di Roma. Ma esiti tanto felici, almeno in un primo momento, non trovavano spazio nemmeno nel cassetto dei desideri proibiti dell’artefice del prodigio. «Siamo partiti con un gruppo di bambini e un modo semplice di concepire lo sport - ricorda il patron dell’Almaviva -. Via via che i ragazzi crescevano e miglioravano dal punto di vista tecnico abbiamo cominciato a dotarci di attrezzature e giocatori d’esperienza per fare il salto di qualità».
Una volata divisa in tre tappe fondamentali: la conquista del titolo italiano Under 19 nel 2003, quello Under 17 nel 2007 e, soprattutto, la promozione in Super 10, il top del top del rugby, arrivata nel 2006 dopo aver vinto tutte le partite della regular season.
Più che i successi sul campo, però, il presidente preferisce soffermarsi su quelli ottenuti nel sociale da una costola della società bluamaranto, l’Unione Capitolina, una Onlus che si occupa di «portare un po’di normalità nella vita di alcuni bambini down, andandoli a prendere direttamente a casa e accompagnandoli ad allenarsi assieme ai loro coetanei». L’entusiasmo è tanto, anche in mezzo alle difficoltà: una su tutte quella che riguarda l’impianto di via Flaminia, dove oltre alla prima squadra si allenano, a volte in contemporanea, fino a 500 ragazzi su «un terreno piccolo e vecchio, dove al posto dell’erba ora c’è il fango».

Ma Claudio Tinari, che insieme con il dg Daniele Pacini ha centrato l’obiettivo di «portare a Roma il grande rugby» confessa di averlo fatto per saldare un debito col passato, per ringraziare chi ha creduto in lui quando era solo un giovane con un'insolita passione per la palla ovale. «Grazie a loro sono arrivato a giocare cinque anni in Nazionale - racconta -. Spero di essere riuscito a ricambiare il favore».

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