Politica

Un cappio per la pace

Ritengo inutile il chiedersi se sia stata giusta o sbagliata l'esecuzione di Saddam Hussein perché era inevitabile. Nel seguito argomenterò questo punto di vista e la sua connessione con il tentativo di chiudere la guerra civile tra sunniti e sciiti iracheni. Il dato più rilevante non è l'esecuzione, ma la sua accelerazione. Alcuni hanno motivato la fretta con ragioni di sicurezza. In realtà il governo iracheno ha la priorità di chiudere il più velocemente possibile un capitolo per aprirne un altro, raggiungendo due obiettivi: a) dare alla maggioranza sciita della popolazione (60%) una soddisfazione simbolica - l'impiccagione infamante di Hussein che li ha oppressi e sterminati - per renderla, poi, disponibile ad accettare un compromesso di pacificazione con la minoranza sunnita e «saddamita»; b) convincere i sunniti che il passato è chiuso e che se abbandoneranno le armi avranno garanzie e la giusta ricchezza. L'urgenza è motivata dalla necessità assoluta, in una situazione quasi disperata, di evitare il consolidamento dell'alleanza tra Al Qaida e sunniti nonché l'intensificarsi della guerra civile che, per reazione, favorisce i gruppi sciiti radicali, per lo più filoiraniani, contro quelli moderati antiiraniani ora al governo. In sintesi, l'accelerazione dell'esecuzione di Saddam è stata una componente simbolicamente cruciale della strategia di contenimento e chiusura della guerra civile. Potrà funzionare?
Il premier sciita Nuri al Maliki ha fatto una dichiarazione di massima apertura ai sunniti proprio mentre Saddam spirava. Questi, in sostanza, combattono perché temono che la maggioranza sciita faccia loro quello che il regime di Saddam, che privilegiava la minoranza sunnita, ha fatto agli sciiti stessi per decenni, cioè per salvare la pelle. Al riguardo stanno da più di un anno ricevendo garanzie nell'ambito di un negoziato segreto. Ma rimane aperta la seconda questione principale. I pozzi di petrolio stanno in aree popolate da sciiti e curdi. I sunniti non vogliono un compromesso basato sul criterio «territorio/etnia» dove otterrebbero un'enclave sicura, ma senza risorse. Per averle dovrebbero poter accedere ad una spartizione nazionale, e così chiedono. Il governo è pronto a concederla in cambio della pacificazione, i curdi anche, ma non è facile far ingoiare alla maggioranza sciita tale premio agli odiati sunniti.
Per questo il governo e gli sciiti moderati, nonché americani e britannici, sperano che l'esecuzione di Saddam ne esaurisca il desiderio di vendetta e li calmi. Così come sperano che l'evidenza della fine di una storia, combinata con l'offerta di una nuova ed accettabile oltre che l'indulto per i dirigenti dell'ex-regime, calmi i sunniti. E li induca a scegliere il compromesso e ad isolare quelli di loro che formano i gruppi combattenti coordinati con Al Qaida. Simmetricamente, l'esaurirsi dell'insorgenza sunnita renderà meno difficile disarmare le milizie sciite estremiste, anche se questa eventualità dipende da un negoziato tra Iran, che le sostiene, Irak e Stati Uniti. È presto per dire se questa strategia potrà funzionare. Si può solo annotare che chi la ha elaborata ha certamente studiato come la «morte» di Arafat abbia sbloccato lo scenario palestinese, alla fine mettendo in difficoltà l'estremismo di Hamas, senza che alcuno sia insorto in nome di Arafat stesso. E che l'esecuzione accelerata di Saddam è stato uno dei mezzi per cercare di ottenere lo scopo della pacificazione in una situazione senza alternative.

Per questo inevitabile e non valutabile con criteri etici ordinari.

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