Caprotti, il «dutur» che rimette in sesto il dialetto

Lui si definisce un tipico «bauscia», uno di quelli che, quando parla della sua Milano, s’infervora talmente da sbavare agli angoli della bocca, per tutte le cose belle che vorrebbe raccontare sulla sua città. E Giorgio Caprotti, medico, gran maestro e insegnante di dialetto meneghino, invece di dirle le scrive nel prezioso volumetto Viaggio nel dialetto milanese (Edizioni Meravigli) in cui racconta con piglio estroso e divertente aneddoti, modi di dire, frammenti di storia, curiosità della nostra città. La città operosa per eccellenza, se è vero che ci arrivò persino Leonardo Da Vinci, ingegnere disoccupato che in poco tempo vi aprì una bottega artigiana.
Con l’aiuto di bellissime foto d’epoca Caprotti, raccontando la vita quotidiana attraverso il dialetto, alcuni divertenti detti popolari, proverbi (una valanga per ogni mese come «marz l’è el fioeu d’ona baltròcca, ora el pioeuv ora el fiòcca» ovvero «marzo è figlio di una baldracca, ora piove ora nevica»). Il dottore, per trent’anni marines della chirurgia d’urgenza del Pronto Soccorso, mostra anche come si scrive il dialetto e come si pronuncia, le antiche misure milanesi e lombarde, i tipici luoghi di appuntamento cittadini (da «Sòtta el liter in quatter», in Piazza della Scala sotto al monumento di Leonardo con i suoi quattro discepoli al Biffi in Galleria), i mestieri scomparsi (il «toppiatt» è il potatore di filari, il «piccaprèi» lo scalpellino stradale, il «bagolon del luster» l’imbonitore e così via), l’etimologia di alcuni nomi (Prestinee, il panettiere deriva dal latino pistrinarius ; o trombee, l’idraulico, dal rumore di tromba che facevano le canne dell’acqua piene d’aria).
Nel libro ci sono mille curiosità; dalle cose che si dicono negli alberghi («foeura de l’albergo in dove gh’è el pedòcca», ovvero fuori dall’hotel dove c’è il portiere col fischietto, all’antico vocabolario da shopping (dove il cardigan si chiama «gipponin»), passando per i colori milanesi, i motti, i luoghi storici, i modi di dire tradizionali («scapusc» ovvero inciampo con ripresa barcollante dell’equilibrio; «patasgnaccheta», caduta in una pozzanghera; «strambadura», distorsione), scampoli di saggezza popolare («Lunedì l’è nassuu el Giannin/martedì gh’hann daa el tettìn/ mercoldì l’hann faa stà in pee/ Giovedì gh’ann daa miee/ Venerdì el s’è malaa/ Sabet l’è mòrt/ e Domenega gh’hann faa el còrp».

Tradotto: Lunedì è nato Giannino/ Mmartedì l’hanno allattato/ Mercoledì l’hanno messo in piedi/ Giovedì gli hanno dato moglie/ Venerdì s’è ammalato/ Sabato è morto e domenica gli hanno fatto il funerale»). Un libro per far luce sulla «scighera» (il nebbione fitto dal latino «caecaria», che acceca) che avvolge il nostro dialetto.

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