Cara mamma, il tuo amore non mi basta

Incomunicabilità, malattia, emancipazione: i rapporti difficili con l’«universo» materno

«È passato un angelo». Si dice così quando la conversazione ammutolisce. Il silenzio cala all’improvviso sugli interlocutori, o meglio: loro salgono fino ad esso, per condividere in modo più profondo la realtà di quel momento e del legame che li unisce. Non entrare mai nella zona rivelatrice del silenzio è non conoscere realmente la persona con cui si sta parlando. Vale anche tra genitori e figli. Da circa tre generazioni, però, angeli ne passano pochi tra loro. Specialmente nei dialoghi tra madre e figlia, rapporto che si è fatto, in misura ragguardevole, verboso, loquace, cerebrale, più di quello tra madre e figlio maschio. Al punto da diventare oggetto di saggi e di romanzi.
Ma guarda come ti vesti! di Deborah Tannen (ora tradotto in italiano per Frassinelli dopo essere stato dieci settimane in testa alle classifiche del New York Times) è tra gli studi più interessanti sull’argomento. In cinque anni di ricerca, la studiosa americana ha registrato le più svariate conversazioni tra madri e figlie di tutte le età, passandole poi al setaccio con gli strumenti della sua specializzazione, la linguistica. Libro ricco di esempi concreti, dal sapore teatrale ma comunque veri e quotidiani: una serie di sapidi botta e risposta dove solo all’apparenza madre e figlia stanno litigando. Non fanno altro, invece, che rimandarsi la palla nella rispettiva metà di campo, giocando un tennis verbale e di pensiero perfettamente calibrato, elegante quanto violento. Che si parli di un taglio di capelli, del colore di un rossetto o di temi più problematici come i sentimenti amorosi, la solitudine.
Anche in Italia vi sono state negli ultimi mesi diverse «indagini narrative» in questo ambito: tra di esse spiccano - non solo per copie vendute - Cuore di mamma di Rosa Matteucci (Adelphi) e Una madre lo sa di Concita De Gregorio (Mondadori). Grottesco, crudele, preciso nella psicologia quanto nello stile, innervato da una forte consapevolezza del dolore e della malattia, Cuore di mamma è l’ultimo romanzo di una scrittrice che, come ci racconta, «per motivi personali, e non mondani o sociologici o editoriali» si è trovata quasi «costretta» a raccontare la storia di una figlia che accudisce, o prova a far accudire, una madre logorante e coriacea.
Di tutt’altra pasta, più pacificato, forse per via del suo coté espagnol à la Almodóvar (quello di Volver), è lo sguardo di Concita De Gregorio: le sue storie, che ritraggono madri di maschi quanto di femmine, rompono con la retorica, peraltro peculiarmente italiana, della maternità, conservando tuttavia un equilibrio di saggezza tra quello che le donne sono e quello che pensano di dover essere, «tra - ci dice - una funzione intima legata allo sviluppo biologico e l’esistenza stessa che nella sua polifonia dà un posto alle cose: nella vita c’è spazio per tutto». Il suo libro riconferma come, oggi più che in passato, il rapporto di una madre con i figli sia diventato difficile proprio per l’esplosione congiunta di motivi interiori, che l’emancipazione della donna ha solo liberato, e di motivi storici, relativi a un periodo che è «epigono di tutta una vicenda di proiezione della figura femminile».
Conversando con le due scrittrici, abbiamo avuto riconferma di questo trend editoriale: una chiacchierata da cui sono usciti i nomi di L’anno del pensiero magico di Joan Didion (Il Saggiatore), che negli Stati Uniti è diventata opera di un certo peso culturale, di The light of evening di Edna O’Brien, de Il manuale della cattiva madre di Kate Long (Garzanti), di Come amano le donne di Maryse Vaillant (Ponte alle Grazie), e anche di La pianista del premio Nobel Elfriede Jelinek, cui vogliamo aggiungere un altro vero classico, quel Sido in cui Colette ritrasse in splendide pagine l’immagine materna. Colette che a sua volta fu madre di una figlia con cui tenne un memorabile carteggio, pubblicato da Donzelli con il titolo Ma chérie: libro da cui è stata tratta una pièce rappresentata a Roma di recente.
E tra madre e figlio maschio, che succede, oggi? Rapporto più fisico, esso richiede sempre che la risoluzione del legame sia altrettanto fisica: attraverso l’amore per un’altra donna o attraverso, sì, un’insofferenza che mai si pacifica e che corre il rischio di sfociare nel rimedio più scontato, la violenza. È questo il tema di un romanzo molto duro, in uscita per Piemme: Dobbiamo parlare di Kevin di Lionel Shriver.

L’autore è una donna che ha deciso di prendere un nome maschile, «convinta che gli uomini abbiano la vita più facile», e narra la storia di una strage a scuola commessa da un adolescente, dal punto di vista della madre Eva. Una madre che cerca di rintracciare dentro di sé i germi di quel crimine. Fino a riannodarsi alla propria infanzia, in un ciclo infinito di sensi di colpa.

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